TUTTO QUEL CHE SUCCEDE NELLE RSA

Ancora oggi, con tutto quel che succede nelle Rsa, i pazienti covid dimessi dalla terapia intensiva degli ospedali stremati finiscono nelle residenze per anziani. Pare non ci sia altra soluzione ma a me questi vecchini combattivi, assediati in casa di riposo, fanno una tenerezza infinita.***** Altre ipotesi non sono percorribili e i e rischi – dicono le istituzioni – sono calcolati. Sta di fatto che ancora nell’ultima settimana, a dispetto dell’onda nera di contagi che ha investito le residenze per anziani, i pazienti covid dimessi dalle terapie intensive degli ospedali sono stati trasferiti nelle Rsa.È successo all’Ambrosiana di via Olgettina, alle Coopselios di via Quarenghi e via Ornato e all’Istituto geriatrico di via Paravia, per esempio. Alla San Giuseppe di via delle Ande i nuovi arrivi sono cinque, tutti giovani, reduci dal Niguarda, e dovrebbero giungerne altri quindici. E così all’istituto Palazzolo della Fondazione Don Gnocchi: «Si sono liberati trentacinque posti, subito occupati con pazienti da fuori – dice un medico che chiede di rimanere anonimo -. Il personale degli ospedali è allo stremo, ma anche noi. Non so se si considera che nelle Rsa alberga la popolazione più fragile ed esposta al maggior rischio di complicanze fatali associati all’infezione». Alla Rsa Girola, sempre Don Gnocchi, su 105 posti letto almeno quaranta sono rimasti vuoti. Le salme, settimana scorsa, occupavano anche la palestra e la sala mensa: le stanno portando via adesso, e per la cremazione finiscono fino in Romagna e in Friuli. Il forno crematorio di Lambrate invece è stato chiuso perché i tempi d’attesa sono superiori ai dieci giorni: mai successo, se non in tempi di guerra.Sul fronte della giustizia i fascicoli sono ormai numerosi. Venerdì è stato iscritto nel registro degli indagati il direttore generale del Trivulzio Giuseppe Calicchio (l’ipotesi è diffusione colposa dell’epidemia), ieri è toccata a tre dirigenti della Don Gnocchi. La Fondazione si arrocca: «È un atto dovuto, abbiamo già presentato nei giorni scorsi alla procura una memoria che contesta le accuse». Alcuni lavoratori hanno sporto denuncia sulla gestione e sulla mancata prevenzione del contagio e solo il tempo dirà se hanno ragione. Ancora, ci sono fascicoli aperti sulla Casa famiglia di Affori, sulla Sacra Famiglia, sulla Virgilio Ferrari e sulla Borromea di Mediglia, a pochi chilometri da Milano. Da lì era partito tutto: sessantaquattro decessi, poco meno della metà degli ospiti. I familiari hanno inviato una diffida all’Ats locale perché intervenga isolando nettamente i pazienti non sintomatici in aree sanificate. «Le misure poste in essere fino ad ora – denunciano i parenti – non sono sufficienti per garantire l’incolumità dei nostri congiunti». Altrove le proteste sono sul fronte dell’assenza di informazioni: tanto disperati quanto battaglieri si rivolgono agli avvocati figli di anziani che sono alla Saccardo (gruppo Korian), alla Virgilio Ferrari, al Palazzolo e alla Gerosa Brichetto. «Non ho notizie di mia madre da giorni, so solo che venerdì doveva esserci l’esito del tampone e neanche di quello mi dicono», tuona Marco Ferrari da via Saccardo, dove pure il gestore da settimane denuncia condizioni di lavoro durissime e rifiuta l’ipotesi di possibili nuovi pazienti dagli ospedali. «Il personale non riesce proprio ad organizzarsi per dare un resoconto almeno ogni due giorni?», dice Luca Rossi che staziona fuori dalla Pastor Angelicus di via Arsia, a Quarto Oggiaro. È il patto di fiducia «tra struttura e famiglie che avrebbe potuto rimanere saldo e invece è andato in frantumi per errori commessi sopra le nostre teste», commenta una operatrice socio sanitaria della stessa struttura. Cerca di spiegare come stanno le cose: «Abbiamo 150 ospiti su tre piani, circa uno su due ha sintomi. Da un mese i ritmi sono quasi impossibili da sostenere, il sessanta per cento di noi è in malattia e chi è rimasto fa tutti i giorni turni di 13 ore, dalle 7 del mattino alle 20 di sera o tutta notte – racconta -. Per dare un’idea, alla mattina invece che sette siamo solo in tre, uno solo per piano. E allora ecco: i nostri centralini sono roventi, noi vorremmo rispondere. Ma non possiamo, scegliamo di seguire pazienti», quasi si scusa. Un’altra operatrice degli Anni Azzurri non si capacita: «Ci sono decine di colleghi in malattia che vorrebbero tornare al lavoro e non possono perché mancano i tamponi di controllo». A domino il virus colpisce anche la cintura del milanese e le residenze che ospitano, oltre agli anziani, i disabili. Alla Mario Leone di Mesero, città metropolitana di Milano, ci sono stati 22 morti su 60 mentre in alcune sedi della Sacra Famiglia la situazione inizia adesso a farsi critica: ad esempio a Settimo (13 decessi) o a Cocquio Trevisago dove sono finalmente arrivati i tamponi e l’esito è disastroso: 63 ospiti contagiati su 78 e 23 operatori positivi.