UN RICORDO DI LUCIANO PELLICANI
E’ mancato ieri, all’età di 81 anni, Luciano Pellicani, intellettuale di spicco della cultura liberal-socialista italiana, già docente di Sociologia nella Facoltà di Scienze Politiche alla Luiss di Roma. Personaggio per molti versi scomodo, fu uno dei principali artefici della riscoperta del socialismo riformista in Italia dopo che, per decenni, questa importante corrente di pensiero fu ostracizzata dal PCI e dalle formazioni della sinistra extra-parlamentare.Figlio di un esponente del PCI che abbandonò il partito nel 1956, dopo la repressione sovietica della rivolta ungherese, Pellicani non cessò mai di criticare i fondamenti della dottrina marxista e, soprattutto, della particolare versione che ne diede Lenin. A suo avviso i regimi comunisti, basati sul partito unico e sulla totale mancanza di libere elezioni e di alternanza al potere, sono in sostanza basati su una errata interpretazione della natura umana e della Storia.Numerose le sue opere di grande respiro, come per esempio “L’Occidente e i suoi nemici” (Editore Rubbettino) e “L’individualismo metodologico. Una polemica sul mestiere dello scienziato sociale” (Angeli editore, scritto con Dario Antiseri). Ma Pellicani è anche autore di alcuni brevi saggi che ebbero un grande impatto come “Che cos’è il leninismo” e “Gulag o utopia? Interpretazioni del comunismo” (entrambi editi da Sugarco).Favorì la svolta riformista del PSI diventando un punto di riferimento culturale per Bettino Craxi, e ispirando un celebre articolo in cui si sosteneva la necessità di abbandonare Marx e di avvicinarsi alla socialdemocrazia di Bernstein , anticipata a suo avviso dalle opere di Proudhon. In questo senso fu vicino a figure importanti del socialismo italiano come Giuseppe Saragat e Pietro Nenni.Pellicani, tuttavia, non volle mai impegnarsi direttamente in politica e mise più volte in guardia i vertici del PSI dalla crescente corruzione che avrebbe poi provocato l’inchiesta giudiziaria di “Mani pulite”. Era una figura che si collocava a cavallo tra liberalismo e socialismo riformista, inserendosi così nel movimento “Lib-Lab” che molta fortuna ebbe in Inghilterra e assai poca nel nostro Paese.Pose sempre l’accento sulle caratteristiche élitarie e giacobine del modello di partito proposto da Lenin, notando però che alla sua base vi è una concezione troppo presuntuosa e idealizzata della natura umana. In altri termini, se si parte dal presupposto che alcuni rivoluzionari di professione abbiano accesso diretto alla teoria “vera”, in grado di condurre alla liberazione definitiva del genere umano, e che gli assiomi indiscutibili di detta teoria debbano essere trasmessi in modo automatico alle masse, si dà per scontato che tali rivoluzionari siano dei superuomini non sottoposti al normale travaglio delle passioni, degli egoismi e dei desideri.Ma ciò non può essere: i rivoluzionari – inclusi i leninisti – sono individui imperfetti come tutti gli altri. In assenza di meccanismi che consentano il controllo del loro operato essi tendono a trasformarsi in casta oppressiva, e lo sbocco staliniano è il logico risultato della lotta di potere all’interno di un gruppo chiuso.Come ignorare, inoltre, che il concetto di eliminazione definitiva dei conflitti reca già in sé i germi della crisi? Il conflitto, come sottolineò Popper, è parte integrante tanto del mondo naturale quanto della vita umana, ed ipotizzarne la risoluzione finale significa chiudere gli occhi di fronte alla realtà: il conflitto può essere in una certa misura controllato, ma non eliminato del tutto. Ciò è ancor più vero se si rammenta, seguendo la lezione dello stesso Popper e di Hayek, che spesso le nostre azioni hanno conseguenze non previste, sia a livello individuale che collettivo. Un mondo non conflittuale presuppone una capacità di prevedere e controllare il futuro che gli uomini – esseri imperfetti come tutti i prodotti della natura – non possono conseguire.Di qui l’ostilità di Pellicani verso il concetto di “utopia”, il quale può essere fertile quando venga inteso come ideale regolativo, mentre risulta pericoloso quando si pretenda di applicarlo agli avvenimenti storici. Dunque l’antropologia filosofica di Marx e la sua proposta politica sono intimamente connessi. Ogni utopia nasce come risposta ai problemi umani, e soltanto comprendendo che cos’è “l’uomo nuovo” del comunismo si riesce a cogliere la sua intrinseca natura totalitaria.Oggi queste tesi sono piuttosto diffuse, ma lo erano assai meno – soprattutto in Italia – quando Pellicani, Antiseri e pochi altri iniziarono a diffonderle, spesso incontrando l’ostracismo degli ambienti accademici e l’ostilità delle case editrici. Ed è pure importante notare che la concezione leninista del partito unico è tuttora adottata dai regimi comunisti dei nostri giorni, per esempio nella Repubblica Popolare Cinese.
