LETTERA DA UN PAESE CHIUSO 48
Il silenzio del venerdì santo, e le pasque degli altri “L’Italia vince “, dice il ministro Gualtieri sull’accordo con l’Unione Europea nella sera di ieri. Aspetto di sapere cosa ha dichiarato il suo omologo olandese, perché, come nei dibattiti post elettorali, vincono sempre tutti. Ma si capisce che per i 5 Stelle è un bel rospo – il Mes è vivo e lotta insieme a noi – e che Salvini farà il diavolo a quattro. Quello che non posso capire e tantomeno giudicare è la richiesta di Salvini, espressa qualche giorno fa, di aprire le chiese per Pasqua. Sarebbe certo una mossa più che azzardata dal punto di vista sanitario, ed è già stata archiviata come una proposta irricevibile. Per il resto non so quanto quella proposta venisse da un sentimento religioso – sul quale da frequentatore di chiese davvero poco assiduo non ho titolo per dire la mia – e quanto da una cattura di benevolenza in un elettorato che soffre del mancato conforto delle funzioni religiose, e della rinuncia a tutte le manifestazioni che precedono la Pasqua. Se così fosse, però, Salvini dovrebbe ricordare che alcuni studiosi dei flussi elettorali hanno calcolato che gli ostili alle misure restrittive in generale, i multati e gli evasi e gli insofferenti, valgono sette milioni di voti, un serbatoio più interessante. Quello che mi interessa di più è la risposta semplice di Fiorello: “si può pregare anche in cucina”. Mi incuriosisce perché, in fondo, è il mio modo di pregare, e non solo in tempi di coronavirus, per una qualche diffidenza verso la Chiesa, ciò che non esclude rispetto, ovviamente. E per un’insofferenza verso il modello di preghiere che cambiano quasi come le autocertificazioni (vi ricordate il Padre nostro ?) e per una nostalgia del latino della mia infanzia, carico di magia. Prego con parole mie, e a modo mio. L’unica volta che mi sono davvero incantato davanti a una preghiera collettiva è stato in una chiesa siriana, quando ho sentito dire – recitare non mi piace, come parola – il Padre Nostro in aramaico, che era la lingua di Gesù. Non afferravo le parole, ma il suono aveva la suggestione di una musica misteriosa. Forse per queste mie cattive abitudini, sono sempre stato curioso di origliare le preghiere degli altri. Non sono un conoscitore profondo delle religioni, non so di teologia (i giornalisti sanno un po’ di tutto, ma niente di preciso), però ho passato tanto tempo a Gerusalemme, la città sacra a tre religioni, ho amici in ogni parrocchia, come si dice, e sono curioso. La conoscenza è il prima passo per vincere i pregiudizi: quando ero bambino tornai a casa da scuola e dissi qualcosa di malevolo di un compagno di classe, tipo che era un rabbino perché non voleva dividere la merenda. L’avevo sentito da altri e l’avevo ripetuto. Mia madre mi assestò uno schiaffo, e mi parlò. Poi, la prima volta che andammo a trovare mia nonna a Trieste, mi portò dentro la sinagoga, dicendomi semplicemente: “vedi ? “. Già nel mondo cristiano la Pasqua delle chiese orientale arriva dopo (quest’anno credo il 17 aprile), e mi è capitato di vivere due Pasque, una la nostra e l’altra in Serbia. Ma il nostro triduo pasquale è ormai molto desacralizzato, più colombe e uova che devozione. Tranne in certe processioni. Non dimenticherò mai la processione dei Misteri, a Trapani, che dura tutta la notte, e all’alba i portatori stanchi trascinano i piedi, ma lo scalpiccio è coperto dalla musica di una banda che detta il passo all’intera processione. Attorno, è una folla di lamenti. Ho ancora nelle orecchie quella musica, l’ondeggiamento ipnotico dell’andatura, ma mi sarebbe bastato il suono della parola “misteri”, in tempi in cui tutto si spiega, ad affascinarmi. Tempi in cui le dottrine sociali sono più importanti, e i crocefissi sono buoni per le processioni, non per le aule di una scuola, come se, per andare incontro agli altri, dovessimo mettere una mascherina chirurgica alla nostra storia. Con la preghiera degli ebrei avevo naturalmente qualche dimestichezza a Gerusalemme, al muro del Pianto. Ai funerali di qualche vittima del terrorismo, dove semplicemente chi l’ha conosciuto parla, a turno, ricordandolo. Ma la volta che mi ha colpito di più è stato a Baghad. La capitale irachena è stata lo scenario di un violento pogrom contro la comunità ebraica che un tempo era numerosa. Avevo sentito dire che c’era ancora qualche ebreo in città e con un po’ di pazienza cercai di rintracciarlo, suonando a campanelli e aspettando davanti a portoni. Alla fine riuscii a parlare con un signore ormai anziano, e perfino più prudente di quanto sia di solito un anziano. Nella comunità erano rimasti in sette e , no, non gradiva pubblicità sulla loro esistenza, non credeva li avrebbe aiutati. Il problema più grande ? Erano dei rimasti indietro: non avevano voluto seguire l’esodo degli altri. E non arrivavano al numero minimo di dieci fedeli – se non ricordo male – che avrebbe consentito di tenere una preghiera collettiva. E allora, gli chiesi? Preghiamo ognuno per conto suo. E avrebbero pregato da soli fino alla fine dei giorni, perché non c’era neppure un ragazzino che, diventato adulto, potesse consentire il raggiungimento del quorum: erano tutti vecchi. Me lo disse con un velo di dispiacere, ma anche di fierezza definitiva, salutandomi. Perché nell’ebraismo, di tutte le scuole, il rapporto con il Dio è molto più diretto del nostro, ha meno intermediari. Il rabbino è una guida della comunità, un punto di riferimento, non un sacerdote.Quest’anno, pochi giorni fa, al tramonto dell’8 aprile, gli ebrei hanno celebrato la loro Pasqua, il Pesach. Ma non hanno bisogno di celebrarla in sinagoga: è un rito che si tiene in famiglia. Il più piccolo di casa, durante il seder, la cena della notte di Pesach chiede: “Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti ?”. Lo è perché è il racconto della liberazione dalla schiavitù in Egitto, una storia di terribili pestilenze, di ribellione alle vessazioni del potere, di schiavi in fuga in fretta e furia – tanto da non avere il tempo di lasciar lievitare il pane prima di cuocerlo – ma è anche il racconto della liberazione da ogni altra tragedia della storia: piaghe, epidemie, pogrom, persecuzioni, shoah. Le evocano con le letture dell’Haggadah (a Sarajevo, gelosamente nascosta, una copia antichissima e colorata sopravvisse all’assedio) ricordi del passato e commenti sul presente, liberamente. Il presente è quello dell’antisemitismo (non era nella Pasqua cristiana che gli ebrei venivano accusati di impastare il pane azzimo con il sangue dei bambini cristiani e di essere gli untori di ogni nuova epidemia ?). Non lo fanno in sinagoga ma a casa, in privato, e la tavola è aperta a chiunque voglia o ne abbia bisogno. Quest’ anno gli ospiti dovranno unirsi via internet, con Skype. A sinagoghe chiuse agli ebrei ultraortodossi d’Israele è stato concesso di riunirsi all’aperto, nel numero fatidico di dieci, ben distanziati, ma non è un caso che Covid 19 abbia colpito di più proprio nei quartieri ortodossi.A Gerusalemme sono chiuse, oltre alle chiese e alle sinagoghe, anche le moschee, sospese le preghiere del venerdì sulla spianata delle moschee.Anche l’Islam ha una sua pasqua, l’Eid al-Adha. E’ la festa del sacrificio (quest’anno cade il 31 luglio), che ricordo perché, in onore del mancato sacrificio di Isacco da parte del padre Abramo, ogni famiglia che può permetterselo, nelle valli di Bosnia, uccide un agnello sulla strada, in un rito famigliare e pubblico nello stesso tempo: viaggi e ci sono pozze di sangue ai bordi della strada. Ma il grande mese del Ramadan è dietro l’angolo: inizierà al tramonto del 23 aprile, e si chiuderà il 24 maggio, con la festa di Eid al-Fitr. Chiuse le moschee anche in Italia, bisognerà ricordare che la moschea non è l’equivalente della nostra chiesa: è il luogo dell’identità religiosa, sociale, politica dell’Islam. C’è la preghiera collettiva, ma l’imam è una semplice guida alla preghiera, non un intermediario tra il fedele e Dio (le cose stanno diversamente nell’islam sciita, che ha una sua gerarchia religiosa, una sua Chiesa, per così dire). Ma uno dei pilastri dell’Islam è la preghiera individuale, cinque volte al giorno, qualcosa che uno può fare in casa, o davanti a casa, Un comunicato dell’Ucoi, l’Unione delle Comunità islamiche in Italia, spiega che “l’Islam considera il principio della tutela della vita umana prioritario rispetto al diritto alla preghiera collettiva”, e che “le cinque orazioni quotidiane sono un dovere per ogni credente che può adempierle, in circostanze emergenziali in cui si teme per la diffusione del contagio, anche in forma individuale nelle proprie abitazioni o nei propri luoghi di lavoro”. Nel comunicato si trovano giustificazioni religiose anche per la quarantena, basate su un hadith, un detto attribuito a Maometto: “Se su una terra dovesse apparire un’epidemia, non andateci; e se vi trovate in essa non uscite da quella terra fuggendo”.Cosa ci vuole per la preghiera individuale ? Che sia pulito il luogo della preghiera (se non si è sicuri c’è il tappetino della preghiera), e colui che prega, e vestito con decenza. Bisogna assicurarsi che la preghiera sia indirizzata verso La Mecca (se siete capitati in qualche camera d’albergo in paesi musulmani, spesso un adesivo vi indica la direzione, ma ormai ci sono persino app che lo fanno sul telefonino, il Qibla Finder). E poi il rituale è quello che avete visto per strada o in televisione: le braccia conserte, l’invocazione ad Allah il più grande, la recita della prima shura del Corano, l’inchinarsi del busto, il sollevarsi di nuovo, il piegarsi fino a poggiare la fronte a terra, e avanti così fino alla fine delle preghiere: “L’angelo che registra le buone azioni è qui”. rivolti da una parte, “l’angelo che registra le mie cattive azioni è qui” ,rivolti dall’altra parte e “As Salaam Alaikum”, il nostro andate in pace.Per tornare a noi, chi sta a Milano oggi un vantaggio ce l’ha. Nel rito romano le campane suonano per l’ultima volta la sera del giovedì santo, e poi tornano a suonare a festa all’annuncio della resurrezione. Nel rito ambrosiano, invece, le campane suonano per l’ultima volta alle tre del pomeriggio del venerdì santo, l’ora della morte di Gesù. Adesso, nel traffico diradato della Milano del virus, sarà impossibile non accorgersene.
