Ho aperto gli occhi e ho rivisto le mie amate montagne, lassù, a Ponte di Legno, in cima alla Valle Camonica, il mio angolo di paradiso in terra, dove dal mio terrazzo ammiro l’anfiteatro del Castellaccio, le nostre Dolomiti. Era tutto programmato, prima dell’invasione dell’invisibile bastardo nella martoriata Lombardia. Pasqua e gita fuori porta le avrei trascorse lassù con i miei cari amici. Quelli di Milano, di Monza, di Bergamo, di Brescia, di Cremona, il gruppo storico che da oltre 50 anni si ritrova lì, per Capodanno, Pasqua, Ferragosto. Noi ci consideriamo un po’ di Ponte di Legno, lì dove il Frigidolfo e il Narcanello si uniscono in un abbraccio e danno vita al fiume Oglio. Li’ dove un tempo c’era la segheria e respiravi il profumo della legna, ora, invece, bevi un calice di vino servito con il tagliere di formaggi e salumi. Lo dobbiamo ai nostri nonni e ai nostri genitori se, intorno agli anni Sessanta, noi del gruppo storico siamo stati i primi ad animare quel piccolo paese, quando c’erano già alcune ville e i primi condomini tirati su erano solo tre. Quando per Pasqua, noi bimbi ci rotolavamo nei prati punteggiati di Crocus, un fiore che mi rimanda sempre al papà Piero: insieme a lui, Adelina ed io, bimbette, li raccoglievamo per l’amata Minnie. Quando sugli alberi realizzavamo le capanne con le assi di legno e i chiodi rubati nei cantieri dei palazzi via via in costruzione. Lassù, tra i nostri amati monti, sono nate le prime cotte, sono sbocciati i primi amori tra una sciata d’inverno, una passeggiata d’estate. Alcuni hanno resistito il tempo di una vacanza, molti hanno dato i loro frutti. Telefono agli amici. Due chiacchiere, gli auguri, l’auspicio che, prima o poi, più poi che prima, ci si ritroverà lassù. Guardo Facebook, scorro le fotografie delle vostre gite fuori porta in questa Pasqua da reclusi nelle nostre case. I più fortunati hanno un giardino e vanno di grigliata, altri le terrazze, altri ancora i balconi, molti le sale da pranzo: le tovaglie della festa, le tavole imbandite. L’amata Minnie mi cucina due uova sode, da tradizione. Si mette a ridere, mi racconta: . La mia gita fuori porta, la faccio sul piccolo balcone (due metri per due) che dà su San Marcellino. Oggi, Lunedì dell’Angelo, Pasquetta, c’è ancora più silenzio. E mentre l’amata Minnie si corica per il quotidiano pisolino ( la pennichella romana) esco sul balconcino, convinta di fare due chiacchiere con i vicini. Non c’è nessuno. Proprio nessuno, no. Sul tetto di fronte, due piccioni appollaiati. Sono nati un po’ di tempo fa. La loro mamma aveva fatto il nido tra le grate di una finestra: covava le uova che un giorno ho visto schiudersi et voilà, i due pulcini. In questa lunga quarantena, sono stata rapita dall’amore della mamma picciona per i suoi piccoli. Spiccava il volo, ritornava nel nido con il cibo. I suoi bimbi pennuti ora sono cresciuti. Li guardo, la loro mamma è in giro, loro l’aspettano sul tetto. Ed è con loro che scambio due parole. . I due nuovi amici pennuti mi ascoltano, si guardano perplessi. Si saranno detti: . Vabbè, mi rintano nella sala da pranzo-redazione. Torno a guardare le fotografie su Facebook. Mi soffermo su quelle pubblicate da Beppe, malato Covid in ospedale, il Maggiore. Non lo conosco di persona. Simpatico, Beppe. Domenica, ha pubblicato il pranzo di Pasqua servito in corsia. Due recipienti di plastica: ravioli in uno, qualcosa che mi sembra un roast -beef con patatine nell’altro. E un’arancia. Simpatico, Beppe. Commenta: ‘Ci deve essere un equivoco, avevo chiesto marubini, capretto e patate al forno>. Oggi, pubblica il pranzo di Pasquetta: lasagne, prosciutto, panino e qualcosa che somiglia ad una pera. E commenta: . Sorrido. Gli scrivo: . Mi risponde: . E’ la più bella conversazione di Pasquetta. Scusate il disturbo.