LA STATUA DI VINCENZO DANTI A GIULIO III SCAMPATA

LA STATUA DI VINCENZO DANTI A GIULIO III SCAMPATA

LA STATUA DI VINCENZO DANTI A GIULIO III SCAMPATA ALLA “STRAGE” PERUGINA DELLE STATUE DEI PAPI Quando nel 1540 i perugini si ribellarono a Papa Paolo III Farnese rimanendo sconfitti nella cosiddetta “Guerra del sale” condussero una romantica guerra di retroguardia, la civiltà comunale era oramai morente e tutto conduceva verso stati nazionali. Di retroguardia o meno resta il fatto che rimasero con il dente avvelenato coltivando nei secoli il desiderio di vendetta. L’occasione arrivò nel 1798 con l’ingresso in città dei soldati francesi, i perugini si scatenarono contro le quattro statue che a Perugia erano dedicate a papi. Quella in terracotta all’odiato Paolo III Farnese precipitò a terra dall’alto della Rocca Paolina; la bronzea a Paolo II del Bellano, dotato allievo padovano di Donatello, in una nicchia sulla facciata meridionale del Duomo venne fusa per fare monete; sorte simile per la statua a Sisto V di Valentino Martelli, anch’essa di bronzo, voluta e collocata davanti alla sede dell’Università in piazza del Sopramuro da professori per ringraziarlo d’un aumento di stipendio. La quarta, dedicata a Giulio III per ringraziarlo del fatto d’aver restituito a Perugia le magistrature cittadine, scampò alla vendetta perugina perché il prefetto professor Annibale Mariotti, illuminista ma anche illuminato, la trasse in salvo nascondendola nel palazzo del sant’Uffizio. Da lì passata la bufera finì in piazza della Paglia che divenne del Papa, da dove nel 1899 per l’arrivo del tram tornò nel luogo originario sulle scale del Duomo. Fusa nel 1555 in un unico getto, a parte il cappuccio del piviale, nel chiostro della chiesa di santa Maria dei servi. Sebbene allogata a Vincenzo e al padre Giulio va considerata del solo Vincenzo Danti (l’ha anche firmata alla base) “affascinante, caratteristica figura di artista-intellettuale del secondo manierismo” (Francesco Santi) all’epoca giovane rampollo d’una famiglia di donne e uomini astronomi, matematici, cartografi, orefici che doveva il nome alla passione del nonno di Vincenzo per Dante. Il restauro del 1995 ha reso evidente che è una magnifica opera di oreficeria. Lo dimostrano il triregno papale, le allegorie religiose nel piviale e quella nel cappuccio con il trionfo della religione sulle eresie a ricordare il ruolo svolto dal futuro Giulio III nel Concilio di Trento. Ai lati del trono, non a caso, la Vittoria e la Pace e come braccioli due Grifoni perugini che sembrano star lì a sancire il potere papale sulla città. Specialmente quello di destra, per chi guarda, sommerso dal piviale e sulla cui testa il Papa poggia con forza la mano sinistra che tiene due grandi chiavi di San Pietro simboli del suo potere. Ma un po’ tutta la statua simboleggia il nuovo potere, compresa l’espressione del volto del Papa ispirato, come fa notare Francesco Santi, alla “terribilità” michelangiolesca del Mosè per il sepolcro a Giulio II. Non aver fuso insieme al resto il cappuccio del piviale gli fece correre il rischio di finire nel mercato antiquario delle opere rubate. Le cronache locali del 1911 raccontano d’un certo Peppe, noto in città per la confidenza con il bicchiere del vino che, probabilmente appartatosi dietro la statua per un’impellente necessità fisiologica, s’accorse che il cappuccio non era più al suo posto. Il furto provocò attacchi agli antiquari locali, scontri, dibattiti accesi, interpellanza parlamentare al punto che l’autore del colpo incapace di gestire la faccenda con tutta quell’esposizione mediatica abbandonò il bronzo sopra un muretto dove lo ritrovò una guardia del dazio. Dandoci così la possibilità di vedere tuttora questo capolavoro del manierismo italiano di Vincenzo Danti – “scultore perugino di nascita ma fiorentino per gusto e formazione” (G. B. Fidanza) – nel suo luogo originario e nella sua interezza a parte il basamento rifatto nell’Ottocento riportante le scritte di quello originario.