IL BUSINESS DEL TEMPO E LA CORSA IMPAZZITA DEI CORRIERI. ANZI, DEI CONSUMATORI

IL BUSINESS DEL TEMPO E LA CORSA IMPAZZITA DEI CORRIERI. ANZI, DEI CONSUMATORI

È uscito un paio di giorni fa un articolo del Manifesto che segnala la preoccupante situazione dei corrieri di Amazon e dei ritmi cui sono costretti a sottostare per assecondare le richieste dell’azienda. Si parla di un pacco ogni tre minuti, sino ad arrivare a un centinaio di consegne al giorno, a volte anche di più. Già, perché sembrerebbe che l’algoritmo segnali anche i corrieri particolarmente veloci, e se qualcuno per un eccesso di solerzia si ritrova ad aver finito le proprie consegne prima del previsto, il giorno dopo se ne ritroverà sicuramente di più. Al contrario, chi rallenta, analogamente segnalato dal diabolico marchingegno, rischia scomode lettere di richiamo. A questo si aggiunge il cosiddetto rischio d’impresa, poiché le franchigie del telefono e del furgone sono a carico del lavoratore, così come le eventuali multe. Elementi che costringono a un’attenzione che va in rotta di collisione con la necessità del “just in time” garantito dall’azienda ai suoi consumatori. È inevitabile che un articolo del genere susciti indignazione, orrore e raccapriccio, ma anche pensare a un mondo fatato in cui la gente smetterà magicamente di ordinare online diviene piuttosto utopico. L’elemento su cui, piuttosto, si potrebbe fare una riflessione e anche una piccola autocritica, potrebbe essere questo maledetto meccanismo del “just in time” che mette in ginocchio i corrieri di tutto il mondo. Se infatti l’azienda per qualche improbabile intento filantropico decidesse di abbassare i ritmi, ecco che arriverebbe il Pincopallino di turno a farle la guerra, e laddove Amazon decidesse di scrivere accanto all’annuncio “consegna in 72 ore”, subentrerebbe il suddetto Pincopallino a garantirla in 24 ore. E i consumatori dirotterebbero, nel tempo, la scelta sul nuovo arrivato. È il classico esempio di chi si lamenta del proprio governo dopo averlo votato: senza voler assolvere gli esecrabili comportamenti della multinazionale statunitense, che tanto ricordano quelli descritti nell’ultimo film di Ken Loach “Sorry we missed you”, non bisogna dimenticare che non sono altro che il riflesso di quanto richiesto da chi si trova al di qua dello schermo. L’incapacità di aspettare è un connotato che si sta sedimentando in modo sempre più marcato nella mente del consumatore moderno. Possiamo indignarci quanto vogliamo, ma alzi la mano chi non ha mai messo quella maledetta spunta su “consegna il giorno dopo”. Ed è proprio quella spunta, quel piccolo segno a forma di “v” a determinare quanto succede in seguito. Alcuni potranno sostenere che l’impazienza è ormai entrata in qualche modo a far parte del nostro patrimonio genetico, e in effetti se si pensa che qualsiasi azione si eseguisse un tempo nel giro di diverse settimane, oggi con l’aiuto della tecnologia è a dir poco istantanea – si pensi ad esempio all’invio delle lettere sostituite oggi dalle mail – è inevitabile che la nostra mente si setti su una perdita di pazienza che poi si riflette su tutte le sfere della quotidianità. Il risparmio del tempo è una chimera che continueremo a inseguire fino al tramonto della nostra specie, ma se ci fermassimo a chiederci il perché di tutta questa urgenza, sarebbero pochi i casi in cui saremmo in grado di rispondere. Nove volte su dieci, le diavolerie che ordiniamo sui siti di consegne espresse possono arrivare anche nel giro di una settimana; ecco quindi che quella maledetta spunta sulla voce “consegna in 24 ore” si rivela nella sua più meschina natura di puro capriccio, con il benestare dell’Amazon di turno, pronta sacrificare sull’altare del business i poveri corrieri. Basterebbe assumere qualche corriere in più, ma se poi quello che si dà a dieci tocca darlo a cento, ecco che a fine anno i profitti si riducono e l’azienda diviene meno appetibile per qualcun altro. È il mercato, bellezza. La soluzione diventerebbe, quindi, dare a cento quanto si dava a dieci, e i corrieri, contenti di aver guadagnato qualche anno di vita, si ritroverebbero con le tasche vuote, andando semplicemente a sostituire la precedente preoccupazione con quella nuova. Occorrerebbe, quindi, cominciare a domandarsi il perché di tanta foga, cominciare a chiedersi quando la lentezza è diventata il nemico numero uno del genere umano. Forse quando abbiamo cominciato a pensare che un risparmio di tempo comportava la possibilità di poter fare più cose con le stesse ore a disposizione, un po’ come la logica dell’accumulo secondo la quale, a parità di entrate, l’obiettivo diviene quello di poter acquistare più articoli possibile. Si parla dunque di accumulo, anche in questo caso, con uno spostamento verso la ricerca di esperienze anziché di merci. La smaterializzazione ha dunque colpito anche il mezzo tramite cui ci si illude di arrivare a quell’agognato benessere psicofisico, nell’assurda convinzione che l’accumulo di esperienze, esattamente come l’accumulo di oggetti, porta con sé una qualità di vita più alta. E allora, dopo esserci mossi a compassione verso i poveri corrieri torturati, dopo aver altresì inveito contro le multinazionali che rovinano le loro esistenze, un primo passo verso un reale stop a questo meccanismo impazzito, potrebbe essere cominciare a chiederci quanto la nostra qualità di vita sia effettivamente migliorata da quando abbiamo cominciato a ricevere i nostri ordini in 24 ore anziché in una settimana.