IL MIO RICORDO DI LUIS SEPULVEDA

Ho incontrato Luis Sepùlveda una sola volta. Avevamo appuntamento all’Hotel Locarno, a Roma. Parlammo a lungo di America Latina, dei suoi libri e di un film cheaveva appena girato. Credo il suo primo e ultimo film. Da allora, poco meno di 20 anni fa, non l’ho più rivisto. Ma in quel pomeriggio di primavera a un certo punto cominciammo a parlare del Perù. Io avevo appena pubblicato un romanzo, si intitolava “Per un attimo immenso ho dimenticato il mio nome”. Il titolo, molto sudamericano, è un verso di una poesia di Octavio Paz. E quel romanzo era ambientato in una piccola città che si chiama Tempestad, ai bordi della foresta Amazzonica. Non ho mai conosciuto nessuno che sia mai stato in quel posto. L’unico che lo conosceva era lui: Sepùlveda. «È un luogo davvero bruttissimo», mi aveva detto, guardandomi sorpreso: «ma perché lo hai ambientato lì?». «Perché volevo reinventarlo», gli risposi. Sorrise, poi aggiunse complice: «certo, i romanzieri fanno così. Sanno meglio degli altri quello che non conoscono».