MAURO MAURI, RESPONSABILE MEDICO DELLA RSA-DON GNOCCHI, DA QUASI UN MESE E’ IN RIANIMAZIONE

MAURO MAURI, RESPONSABILE MEDICO DELLA RSA-DON GNOCCHI, DA QUASI UN MESE E’ IN RIANIMAZIONE

Parlando con fonti e operatori, in tantissimi mi riportavano a questa storia. mi era diventato impossibile non scriverla – quasi per un senso di giustizia. Mauro Mauri, responsabile medico della Rsa Girola-Don Gnocchi, aveva capito subito il livello del rischio di contagio. Provava invano a caldeggiare una linea di massima prudenza e protezione. Nel posto dove lui curava gli anziani, aveva portato anche sua madre. Il giorno che sua mamma è morta, stremato, ha preteso trenta tamponi e si è messo a farli, in prima persona. Uno dopo l’altro. E poi altri trenta. Da un mese è intubato su un letto di ospedale. ****Quando questa storia sarà finita, e il dottor Mauri uscirà dall’ospedale dov’è entrato il 23 marzo, ricoverato per Covid-19 e ancora intubato, qualcuno dovrà chiedergli scusa: «Perdono, Mauro. Tu avevi capito, quando nessuno voleva vedere. Hai provato a proteggere i “tuoi” anziani, e non te l’hanno permesso. Per salvarli, hai rischiato di morire con loro». Quella che segue è la cronaca degli ultimi due mesi di carriera del dottor Mauro Mauri, 57 anni, responsabile medico del «Girola», casa di riposo della storica «Fondazione Don Gnocchi-Palazzolo» di Milano. Al «Girola» sono morti 40 ospiti su 103. Tra i deceduti, giovedì 19 marzo, anche la madre del medico.È a quel giorno che bisogna tornare. Il dottor Mauri, disperato, è come sempre al lavoro. Sua mamma, ricoverata nell’istituto, è appena morta di Covid. Lui esegue un tampone dietro l’altro, armato solo di una mascherina chirurgica, un paio di guanti e un camice usa e getta. È da settimane che chiede invano ai vertici dell’istituto di seguire una linea di «massima cautela». Proprio quel giorno, quando si spegne sua mamma, il dottor Mauri pretende 30 tamponi e si mette a farli lui stesso, chiamando uno a uno «i suoi nonni».Venerdì, 20 marzo, arrivano gli esiti degli esami. Tanti «positivi». Il responsabile medico del «Girola» è sconvolto. Ne fa altri trenta. Vuole provare a salvare chi è ancora in vita.Il giorno dopo, verso sera, al dottor Mauri inizia a salire la febbre. Quando la carica virale è così forte, i sintomi fanno presto a degenerare.La mattina di lunedì, 23 marzo, gli manca l’aria. La saturazione dell’ossigeno nel sangue scende sotto i 90. Lo portano via in ambulanza. Mauri ha iniziato a lavorare al «Girola» vent’anni fa, nel 2000, come responsabile medico. Qualche mese dopo si è sposato. In poco tempo il «Girola» è diventato la sua «seconda casa». È sempre stato orgoglioso della sua professione. Nel posto dove cura gli anziani, ha accolto anche sua madre.Il «Girola» è più piccolo rispetto all’altra sede del «Don Gnocchi», il «Palazzolo», dove dall’inizio dell’epidemia sono morti oltre 160 anziani, il contagio ha invaso e funestato tutti i reparti, il virus ha attaccato il personale sanitario. Medici e infermieri, a inizio marzo, sono stati convocati in una riunione plenaria (circostanza sempre smentita dalla Fondazione, ma sulla quale il Corriere ha raccolto decine di testimonianze concordanti) in cui la direzione ha «fortemente scoraggiato, fino al divieto», l’uso delle mascherine, per «non spaventare» i pazienti e i loro parenti.Al «Girola» valeva la stessa linea direttiva: e lì dentro s’è consumato il dramma umano e professionale del medico che invece non sottovalutava i rischi (un’esperienza che ha molti punti in comune con quella del professor Luigi Bergamaschini, insigne geriatra cacciato e poi reintegrato dal «Pio Albergo Trivulzio» perché pretendeva l’uso delle protezioni).Secondo almeno tre fonti interne, fin dall’emersione dell’epidemia Mauri prova a suggerire un orientamento di massima precauzione. Inizia a preoccuparsi quando legge dei primi casi di Covid a Lodi, e poi ancor più dai primi di marzo, quando il contagio entra a Milano. In quel periodo, al «Don Gnocchi-Palazzolo» si tengono riunioni informative di sabato mattina. Mauri torna da quegli incontri di lavoro con la faccia stravolta.Dopo una riunione, sempre a inizio marzo, il dottore racconta che hanno raccomandato di non usare le mascherine. Al «Palazzolo» hanno spiegato di averne pochissime e solo chirurgiche (come in tutte le Rsa, nessuno ha fatto scorte), ma hanno scoraggiato anche l’uso delle poche disponibili. Quel che sconvolge il dottor Mauri in quei giorni è peraltro alla base di una denuncia presentata da 18 lavoratori del «Don Gnocchi», e adesso da altri del «Girola», oltre ai familiari di molti degenti, seguiti dal team del legale Romolo Reboa (una ricostruzione negata fermamente dalla Fondazione: «Sin dal 24 febbraio sono state messe in atto le procedure e adottate le misure cautelative definite dall’Istituto superiore di sanità e dall’Oms, anche quelle riguardanti i Dpi»).Al termine delle riunioni, di fronte alla generale sottovalutazione, il dottor Mauri ha momenti di pesante sconforto, si sente con le mani legate. In farmacia trova per miracolo due mascherine Ffp2, quelle col filtro, ma le cede a chi pensa ne abbia più bisogno.Dal 10 marzo, al «Girola» cominciano le prime febbri tra gli ospiti. Tra l’11 e il 15, tre operatrici rimangono a casa in malattia; poco dopo, altri infermieri si ammalano. Il dottor Mauri sa che in altre strutture stanno facendo i tamponi anche agli anziani senza febbre, e alcuni risultano positivi. Per isolare gli asintomatici e cercare di contenere il contagio, il medico si rende conto che deve fare al più presto quegli esami, anche se nessuno dai vertici della Sanità lombarda pensa in quel momento che sia necessario.In qualche modo, alla fine, il responsabile medico del «Girola» si procura i tamponi. E inizia subito a farli, il 19 marzo, anche se ha appena visto morire sua madre.Il dottor Mauro Mauri è in rianimazione da quasi un mese. Negli negli ultimi giorni le sue condizioni sembrano un po’ migliorate. E’ un uomo coraggioso, combattivo, forte.