OLTRE IL REALE. I BAMBINI VERDI DI BANJOS

OLTRE IL REALE. I BAMBINI VERDI DI BANJOS

Il pianeta Terra nasconde molti segreti, alcuni sono celati dagli uomini stessi, per timore delle reazioni che potrebbero suscitare, mentre altri sono semplicemente ancora da scoprire, e da raccontare. Tra miti e leggende, tra racconti di anziani e scritti da decifrare, bisogna cercare pazientemente, per trovare storie come quella dei due bambini verdi di Banjos. In realtà di questo villaggio si sono perse le tracce, forse inglobato in qualche città più grande nel corso del tempo, ma all’epoca dei fatti esisteva, e si trovava nella regione della Cantabria, precedentemente chiamata provincia di Santander. Nel 1887, quando agosto declinava verso settembre, alcuni agricoltori videro due bambini uscire da una grotta. Era normale in un’epoca senza mezzi di comunicazione, senza strade, senza troppe regole, vedere i bambini giocare da soli per boschi e campi, ma ciò che attirò l’attenzione della gente fu che quei due bambini, maschio e femmina, avevano la pelle di colore verde. Incuriosite le persone si avvicinarono, e videro che gli indumenti indossati dai due erano strani, sembravano, al tatto, fatti di caucciù. E la lingua poi, una lingua strana, che nessuno conosceva, ed anche i due non capivano la lingua di chi gli parlava. Non sapendo cosa fare, venne interpellato il più grande proprietario terriero della zona, nonché magistrato, Don Ricardo Da Calno. Egli, ascoltata la storia, accolse i due in casa, e provò a strofinare la mano della bambina impaurita, provando a far andare via il colore verde, pensando ad un qualche tipo di muffa, o residui di zolfo. Ma la pelle era verde, il colore non se ne andava. Mentre provavano a cercare di venire a capo di quel mistero, vennero preparate alcune pietanze per nutrirli, ma i due annusavano il cibo, lo assaggiavano, e poi lo allontavano. Per 5 giorni non mangiarono nulla, e continuavano a non parlare, a non capire, dimagrendo a vista d’occhio, finchè non assaggiarono dei fagioli crudi, che iniziarono a mangiare senza problemi. Venne interpellato un prete di Barcellona, amico del magistrato, che si dimostrò incapaci di risolvere l’enigma, soffrendo quando, dopo circa un mese, il bambino morì, per la troppa debolezza. Da Calno descrisse la bambina come simile, nei tratti, alla cameriera di colore che aveva in casa, anche se gli occhi erano a mandorla ed incassati nelle orbite. E la bambina, ripresasi, crebbe, imparando anche la lingua locale, prestando servizio nella casa del magistrato. Fu lei, infine, a raccontare la sua storia. Disse che lei ed il fratello provenivano da un posto dove non c’era il sole ma solo un eterno crepuscolo, e poi che c’era un paese con la luce, separato dal suo luogo di origine da una “corrente di grande larghezza”. Il suo arrivo nella grotta venne descritto in questo modo: vi fu un grande rumore, noi fummo presi nello spirito e ci trovammo nel campo di grano”. Lei morì dopo cinque anni, e venne sepolta accanto al fratello. La storia sembra incredibile, frutto di superstizioni e leggende, ma chi ha indagato ha trovato dei resoconti di tutta la vicenda, compresi i verbali del magistrato. Il fatto oltretutto diventa inquietante se si considera che una vicenda analoga ebbe luogo a Woolpit, in Inghilterra, nel XII secolo. Stessa dinamica, solo con epilogo diverso per la bambina, che nel caso d’oltremanica si sposò con un abitante del luogo, ed indicò il suo luogo di origine come sotterraneo, chiamato la Terra di San Martino. Le spiegazioni scientifiche non si sono fatte attendere, per i bambini spagnoli si parlò di tratta di schiavi e malnutrizione, mentre per quelli inglesi si ipotizzò una emigrazione dai Paesi Bassi, molto comune all’epoca, con malnutrizione e sintomi itterici. Realtà, leggenda, fantasia. Tutti elementi che si condensano in qualcosa che appare inspiegabile, soprattutto a distanza di molto tempo. Ma per chi non ha paura di sognare, forse queste leggende saranno di ispirazione per trovare nuove tracce di qualcosa di misterioso, o per inventare nuove storie da narrare.