QUEL CAPPUCCINO CHE ASPETTAVO TUTTO L’ANNO

QUEL CAPPUCCINO CHE ASPETTAVO TUTTO L’ANNO

Quando ero bambino il mare era l’appuntamento dell’anno. Ci spostavamo dal Piemonte alla Liguria, due ore scarse in automobile, eppure c’era l’epica di un attuale Roma-Melbourne, e lo stesso esborso, più o meno, in termini di potere d’acquisto.Erano i primi anni ’80, tutto sarebbe stato bello sempre. E io aspettavo tutto l’anno quel giorno di giugno o di luglio quando mio padre avrebbe detto: Si parte.Sveglia all’alba, ma io non ci dormivo, era l’unica notte dell’anno che passavo insonne: partenza all’alba dalle Langhe per essere a Borghetto Santo Spirito per potersi godere – l’antico spirito di servizio, l’abnegazione all’utilità, il tempo cioè inteso come utile soltanto se sfruttabile per qualche azione – il giorno intero. Così le tortore erano arrazzate, il mattino alle cinque con ancora il chiaro, quando solitari nelle strade sulla 127 partivamo per il mare.Io, ero felicissimo. Perché dopo poco più di un’ora, per alleviare la sofferenza dell’auto – soltanto qualche decennio dopo seppi che il verbo «patire», riferito all’automobile, nel senso cioè della nausea, non è italiano bensì piemontese – sapevo che ci saremmo fermati a Millesimo, già in provincia di Savona, per un cappuccino.Il cappuccino era la mia trasgressione annuale. Ero troppo piccolo per il caffè, che nell’immaginario faceva male. Mio nonno mi dava la grappa, qualunque male potessi avere, se pur bambino o adolescente, dai mali di testa episodici al mal di stomaco dell’indigestione, per mio nonno la cura era una sola: un cichèt di grappa; o, in alternativa, un bicchiere di dolcetto.I miei questo lo sospettavano, eppure non avevo autorizzazione a più di un caffè ogni tanto. E quell’ogni tanto era quel giorno a Millesimo.Il bar era «dello sport»; forse non nell’insegna – devo ammettere: non ricordo – eppure dello sport aveva tutto: la televisione, dove si potevano vedere le partite – che soltanto sono, nei ricordi che portano alla nostalgia, quelle dei mondiali del 1982, oppure del 1986; e anche i tavoli dove immaginavo, pur un mattino di giugno o luglio, soltanto colazioni, niente grappe, nessun bicchiere di dolcetto che pure in quella valle dovevano farsi – ospitare le chiacchiere dei grandi, a proposito di partite di pallone e di ragazze, chissà cosa avrebbero raccontato quei tavoli di quella parte della Val Bormida, avessi potuti ascoltarli…Quel cappuccino era eccezionale. Non soltanto buono: aveva la schiuma che sapeva di latte, negli anni a venire avrei compreso che quasi tutti ti fottono, e ti vendono una specie di crema di latte in luogo della schiuma, non so neppure se costi di meno, non conosco il perché, penso per sciatteria o per mancato spirito degli ’80, o perché i gusti sono finiti a questa cosa anziché al cappuccino di Millesimo, latte, puro latte, come quello intero delle cascine con le mucche, che a far gusto non necessita di zucchero, né di null’altro, a quanto è buono così.Io il cappuccino di Millesimo lo aspettavo tutto l’anno.Così l’altro giorno, quando sono capitato per caso in corso Raffaello 18, presso un bar che si chiama La vie en rose, e ho ricevuto, alla richiesta «Un cappuccino, per favore», il cappuccino di Millesimo, con la schiuma di latte e non con la crema, o la cosa cremosa, di latte ma finta, insomma quando ho assaggiato quel cappuccino e come Anton Ego sono finito a Millesimo nel 1984, mi sono quasi commosso.Dietro al banco c’era un gruppo di tre giovani, quando ho finito con il commovente cappuccino ho raccontato del cappuccino-vintage di Millesimo, che non lo fa quasi più nessuno, direi anzi più nessuno, soltanto loro della Vie En Rose di corso Raffaello, San Salvario, in Torino. E poi ho dovuto recuperare i pensieri, per tornare a casa, perché questi volano e vanno, a pensarci la ragazza – una tipa con gli occhiali a montatura nera, scura di pelle, molto alta, che la settimana dopo si è ricordata di me, appena entrato, «Lui è quello del capuccino vintage», quella ragazza nel 1984 non era neppure nei sogni dei genitori. Il tempo fugge via veloce, lo attanaglia il cappuccino di corso Raffaello, i racconti che ci possiamo fare su, tra un decennio e l’altro, noi che amiamo scrivere. (Nel bar che frequento da qualche settimana la giovane barista fa un cappuccino vintage. Mi partono pensieri che mi rendo conto d’aver già scritto, casualmente il 23 luglio di un anno fa).