CORONAVIRUS. BUONE PRATICHE IN PORTOGALLO. IN FAMIGLIA ALLARGATA E’ MENO PERICOLOSO CHE ALTROVE

CORONAVIRUS. BUONE PRATICHE IN PORTOGALLO. IN FAMIGLIA ALLARGATA E’ MENO PERICOLOSO CHE ALTROVE

Va dato atto all’Huffington post di avere recentemente dato spazio a una realtà europea come quella del Portogallo. Nel merito della diffusione del coronavirus, infatti, quel paese ha riportato finora dei successi su cui occorre riflettere. In una lunga intervista a un medico italiano impegnato a Lisbona (il dottor Gliozzi), vengono evidenziati parecchi pregi della realtà sanitaria portoghese e le conseguenze positive che ne possono essere derivate. Ma, oltre ai chiarimenti forniti dall’intervistato, ulteriori considerazioni ci sono venute in mente. Esse meritano, a nostro avviso, un approfondimento cui in questa sede cercheremo di dare inizio. Ma cominciamo dall’intervista. Ci si sofferma sul relativo contenimento nella diffusione del covid. “Non è il paradiso”, premette Gliozzi, ma è fuori discussione che da una lettura dei dati dell’ultimo mese il Portogallo risulti essere uno dei pochissimi paesi in cui l’epidemia si sia diffusa secondo una progressione senza alcun carattere esponenziale. Se consultiamo i dati internazionali più affidabili, quelli della John’s Hopkins, vediamo che i 6/700 casi al giorno in più di inizio aprile in Portogallo (quando il totale superò quota 10mila), tali sono rimasti fino ad oggi che il paese ha superato quota 20mila. Questo, mentre altre nazioni, che soffrivano allora di un analogo numero di infetti, hanno visto tassi di crescita incredibili. Pensiamo al Brasile e alla Turchia, dove oggi siamo al  quintuplo rispetto ai numeri di allora. O addirittura alla Russia, dove siamo arrivati a dieci volte tanti. Vale a dire che è abbastanza sorprendente che al crescere dei contagiati costoro non costituiscano una fonte sempre crescente di nuovi contagi. Un fenomeno che si può riscontrare solo in paesi che vengono ritenuti forniti di una autodisciplina a prova di fuoco come Austria e Svizzera. Quali le ragioni? A monte di tutto viene ritenuto che la ragione chiave sia costituita dai legami tra servizio sanitario e territorio. A differenza di tanti altri paesi, Italia in primis, non è la struttura ospedaliera, sia pure di eccellenza, a costituire un punto di riferimento per il malato. Un luogo che però, in caso di epidemia, si congestione e diventa esso stesso veicolo dell’infezione. La struttura del servizio in Portogallo è molto più articolata. Suddivisa in Unità di salute composte da medici, infermieri, psicologi e assistenti sociali che mantengono coi pazienti un rapporto personalizzato. Un filo diretto improntato alla fiducia che tale si mantiene anche quando la situazione epidemica consiglia di ridurre i contatti faccia a faccia. Da qui i buoni risultati: la possibilità di un lockdown soft ma rispettato da quasi tutti, dunque quella di sfruttare in chiave di prevenzione il vantaggio di non essere stati i primi ad essere colpiti. Prevenire cioà il contagio con suggerimenti che vengono ascoltati e seguiti anche da una popolazione nella quale si registra un’alta percentuale di immigrati. Oppure, quanto meno, aggredire il virus ai primi sintomi, provvisti anche di una dotazione di mascherine adeguata, fornite dalle pubbliche istituzioni. Fin qui l’articolo dell’HP. Come nostro solito abbiamo voluto scavare al di là della notizia per vedere se ci fossero altri particolari degni di interesse da segnalare. Di solito, questi approfondimenti, mettono in luce aspetti che rappresentano il lato debole dell’esperienza descritta. Quello che la rende meno edificante e spendibile mediaticamente. Viceversa, numeri alla mano, abbiamo potuto vedere che in questo caso, ci sono ulteriori aspetti positivi nell’esperienza portoghese che andrebbero certamente approfonditi ma che forniscono nuovo valore a quanto si sta facendo da quelle parti. Prendiamo in primo luogo tre ulteriori indicatori dell’incidenza del virus; numero dei contagiati sul totale della popolazione; numero di morti sul totale della popolazione; numero dei morti sul totale dei contagiati. Sappiamo che si tratta di cifre approssimative, ma quelle abbiamo e su quelle dobbiamo lavorare. I contagiati del Portogallo, rispetto agli abitanti, sono assimilabili a quelle dei paesi che meno sono stati invasi dal virus (lo 0,2% della popolazione). ma le differenze con altri paesi non sono abissali. Lo diventano invece se andiamo a calcolare il numero dei morti per milione di abitanti: solo 76 in Portogallo, contro i 333 dell’Italia, i 234 dell’Olanda e i 544 del Belgio. Ma anche la svizzera rimane al di sopra delle cifre portoghesi (175) e solamente l’Austria ne resta un minimo al di sotto (57). Passiamo adesso al rapporto morti/contagiati e limitiamoci al confronto tra Portogallo e paesi ritenuti tra i più virtuosi. A stretto contatto con l’Austria (3,4 agli austriaci contro il 3,6 dei portoghesi), ma molto meglio di Svizzera (5,3) e Olanda (11,6). E per finire il confronto che ci ha colpito più di ogni altro. Quello tra Portogallo e Germania. Il rapporto morti/contagiati è praticamente alla pari (3,6 contro 3,5) ma va tenuto conto di un fatto. Nei primi tempi la Germania aveva denunciato un’incidenza dei morti che aveva dell’incredibile (0,3%) forse dovuta a controlli effettuati in maniera differente da altre nazioni. Dopo un breve periodo però le percentuali della Germania erano cresciute raggingendo il livello un poco più alto degli altri paesi “virtuosi” . Sempre nettamente al di sotto della media europea, ma quel tanto da far pensar che le percentuali irrisorie dei primi giorni, fossero state compensate da numeri successivi un poco più elevati della media finale. In breve si può pensare che il Portogallo si trovi in condizioni in cui, nell’ultimo periodo, la mortalità dei contagiati sia addirittura inferiore a quella tedesca. Un dato straordinario, da approfondire, anche per ragioni culturali che vanno oltre il freddo ragionamento sui numeri. Nel confrontare questi ultimi dati della Germania con quelli italiani (mortalità dei contagiati oltre il 13%), si era fin qui addotta, tra le altre, una spiegazione sicuramente dotata di senso. In Italia il numero delle coabitazioni (famiglie allargate) e delle frequentazioni intrafamiliari tra giovani e anziani è sicuramente molto più elevata che nel nord Europa. Da qui, come conseguenza, la maggiore probabilità che un bambino asintomatico o un giovane con una forma di covid relativamente leggera contagiano in maniera letale  nonni e/o genitori. Il discorso fila. E’ di ieri il caso di un’intera famiglia di 4 persone contagiata in blocco in Emilia Romagna (per fortuna, sinora, senza conseguenze letali). Tutto vero, ma si tratta solo di una causa possibile che non esclude eccezioni. Finora avevamo, in negativo l’eccezione olandese, usi e costumi nordeuropei, ma rapporto morti/contagiati di poco inferiore all’Italia (11,6%). Questo non elimina purtroppo le dispute da bar sport: italiani puniti perché troppo “bamboccioni” o invece nordici felicemente crudeli che se ne sbattono dei genitori, soli ma per questo non infettabili. Ma il discorso si presta a considerazioni più serie. Punto 1: in Portogallo le coabitazioni sono altrettanto rilevanti che in Italia. Punto 2: in Portogallo il rapporto morti/contagiati è altrettanto basso che in Germania. Per quali ragioni? Maggiore prudenza a casa propria?  Possibilità di ricorrere ad alberghi covid per i positivi? Maggiore tempestività negli interventi? Maggiore ascolto dei suggerimenti prudenziali dettati dalle Unità di salute? Molte le ipotesi in proposito. Complimentandoci con gli operatori portoghesi non possiamo pretendere da loro risposte precise ed immediate. Ma sarà senz’altro il caso di mantenere viva la riflessione, nell’interesse loro e di noi tutti.