DUE MESI, TUTTO E’ CAMBIATO

Raccontino della notte. Due mesi, eppure sembra una eternità. La notte tra il 22 e il 23 febbraio c’è un sindaco che posta su Facebook il primo caso di Coronavirus nel suo paese: è Francesca Maria Viccardi, amministra Sesto Cremonese. Qualche ora dopo, il secondo caso, stavolta a Pizzighettone. Sono a Milano. Alle otto del mattino mi organizzo, esco di casa. Il nipotame, l’Anna e il Pit, i gioielli di famiglia, è preoccupato. «Zia, ma ci devi proprio andare?». «Secondo voi?». «Mi raccomando , stai attenta». «Tranquilli, ragazzi». Quel sabato mattina, mi fiondo in una farmacia a caccia di una mascherina. Non ne hanno più da quando allo Spallanzani di Roma è ricoverata la coppia cinese di turisti. «Si tiri su il collo del dolcevita», mi suggerisce il cortese farmacista. Parto. Prima vado a Sesto. In paese c’è il coprifuoco. La farmacista mi racconta che già alle 9 c’era una gran fila di persone davanti alla porta. Volevano tutti le mascherine e il gel igienizzante per le mani. Tutto esaurito. Il coprifuoco c’è anche a Pizzighettone, il paese più vicino a Codogno e a Maleo, due dei setti comuni della zona rossa, blindati dalla sera prima (dopo il caso di Mattia, bollato come ‘paziente uno’ ), ma non ancora centuriati, con «i supermercati presi d’assalto dai codognesi e da quelli di Maleo», mi dicono, con un certo fastidio, i pizzighettonesi già terrorizzati in casa dalla sera prima. Da quel 23 febbraio, nella nostra provincia di Cremona, i contagi, i ricoveri, le morti si moltiplicano di minuto in minuto. In un batter di ciglio, ci troviamo in piena guerra contro l’invisibile bastardo. Con i virologi che all’inizio dicono tutto e il contrario di tutto, è una influenza, è poco più di una influenza, mascherine sì, mascherine no. Tutto cambia. Disorientati ci ritroviamo agli arresti casalinghi e nel silenzio assordante, contiamo le sirene. I morti aumentano, il nostro fiume Po si gonfia di lacrime. Due mesi dopo, i dati migliorano: + 65 contagi (5706 il totale) e, purtroppo, ancora 18 persone sconfitte dall’invisibile bastardo. Ad oggi, ne piangiamo 947. Si guarda alla fase 2, al 4 maggio. Non facciamo le cose all’italiana, perché poi, per dirla con Martino e Chiara, i miei amici medici che lavorano allo Ieo, su a Milano, «inevitabilmente ci sarà la seconda ondata».Mentre spolvera la libreria, l’amata Minnie trova una fotografia. Me la porta nella sala da pranzo-redazione. Sorrido. Mi rivedo bimbetta in prima fila con i compagni di classe della quinta elementare, nel cortile della scuola Capra-Plasio. Dieci femmine e dodici maschi, più il maestro Franco Fazzi, un mito. Ci interrogava tutti, tutti i giorni in tutte le materie. Un mix di bravura, severità e grande bontà, il maestro Fazzi. Io sono la prima da sinistra, accanto a me Titti, poi Ida, Simonetta, Barbara, Daniela, Mariangela, Paola , Silvana (Anna era assente quel giorno). Paola: il 7 aprile del 1998, un incidente in tangenziale se la portò via. Vado a ripescare nell’archivio l’articolo di quel drammatico giorno. Scrissi io il pezzo con il dolore nel cuore. «Capelli lunghissimi, biondi, fisico slanciato, Paola, una bambina timida alle elementari, con gli anni era diventata una ragazza socievole, esuberante, dal carattere forte. Amava la vita». Sono trascorsi 45 anni da quella fotografia scattata nel cortile della scuola Capra-Plasio, 22 da quando Paola ci ha lasciato, due mesi dai primi contagi dell’invisibile bastardo che seminerà dolore e morte. Sembra tutto così lontano, eppure tutto è così presente. Scusate il disturbo.