INTELLIGENZA ARTIFICIALE E LE NUOVE SFIDE: DALLA SANITA’ AL MONDO DEL LAVORO

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E LE NUOVE SFIDE: DALLA SANITA’ AL MONDO DEL LAVORO

Non v’è dubbio che una delle principali sfide delle istituzioni nazionali ed europee è quella di studiare un nuovo modello di governance del mondo del lavoro che possa rilanciare i livelli occupazionali e garantire con ciò una maggiore diffusione di benessere, almeno in un suo livello minimale. Un ruolo fondamentale in questa sfida sarà, ed anzi è ricoperto dal modo in cui le nuove tecnologie influenzeranno l’ambito lavorativo, prima fra tutte quella rappresentata dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale. La materia è talmente di rapida evoluzione che non è facile neppure dare una definizione unica e universale dell’IA. In linea di principio si può semplificare la cosa descrivendo l’intelligenza artificiale come la capacità di un computer di elaborare ragionamenti tipici della mente umana, che pertanto dimostrino una capacità di apprendimento ulteriore rispetto alla programmazione iniziale: attraverso degli algoritmi, detti dimachine learning,la macchina è in grado di utilizzare i dati di partenza e l’evoluzione delle condizioni per ottere un determinato risultato, pur nel mutamento del quadro generale di base. Il che, al netto delle implicazioni da racconto di fantascienza, non significa ancora una vera e propria capacità evolutiva generalizzata, ma più concretamente la possibilità, in settori specifici, di adeguare la risposta alle condizioni ambientali, anche momentanee, sulla base dei risultati precedenti. Il risultato èun notevole efficientemente dei processi in cui la tecnologia legata all’IA è impegnata, seppur come detto in maniera molto settoriale, con ovvio conseguente grande interesse da parte del mondo produttivo industriale. Non mancano in effetti già ad oggi numerosi esempi di impiego di intelligenza artificiale e robotica, a cui spesso viene affiancato l’utilizzo di nuove tecnologie di produzione come le stampi 3D: fra le realtà in cui questa esperienza è più avanzata c’è il settore sanitario in cui si stanno sperimentando nuovi meccanismi coadiuvati da questi sistemi, in grado di superare i limiti fisici dell’operatore umano nella diagnosi, anche a distanza, e nell’interventistica. Nel Regno Unito, dove i costi del sistema sanitario rappresentano un problema di bilancio almeno quanto qui da noi, sono già attivi punti diagnostici sviluppati in partnership conBabylon Health, in cui è possibile “dialogare” con un medico a distanza che si avvale per la diagnosi di parametri rilevati, analizzati e messi a sistema, da software sviluppati proprio sulla base delle ricerche sulla intelligenza artificiale. Anche la produzione industriale, ad esempio col settore automobilistico, assiste con interesse all’ingresso delle tecnologie legate all’IA. Né è un primo esempio l’impego effettuato da Tesla che impiega nelle proprie linee interamente robot o, ancora, l’interesse manifestato daGeneral Motorsattraverso la sottoscrizione di una accordo con IBM Watson, per la creazione di un sistema di comunicazione tra la persona alla guida e i servizi a disposizione nelle vicinanze dell’auto. Anche settori tradizionalmente meno assoggettati alle innovazioni tecnologiche e più tradizionalmente legati all’analisi di dati, come quello assicurativo, si sta introducendo un utilizzo significativo di tecnologie di ultima generazione attraverso cui si sostituisce peraltro molto spesso il lavoro umano per mezzo appunto dei processi apprenditivi dell’IA che consente di sostituire le valutazioni esperenziali degli operatori. Come ogni cambiamento, anche quello legato all’introduzione sempre più spinta di forme di intelligenza artificiale è tuttavia accompagnato da interrogativi e potenziali problemi da gestire, che afferiscono tanto al piano etico che pragmatico e pratico delle condizioni di lavoro: in che modo l’introduzione di queste nuove tecnologie modificherà il mondo del lavoro e, in definitiva, che effetto avranno sulla qualità diffusa di vita? Il piano etico è principalmente legato alla domanda: fino a che punto una macchina può essere messa in condizione di assomigliare all’uomo? Questo aspetto non è affatto nuovo e nasce assieme all’avvento dell’informatica, basti pensare che già nel 1050, Alan Turing, di fatto inventore del computer (la cui storia legata all’utilizzo delle proprie conoscenze per decifrare i messaggi nazisti durante la seconda guerra mondiale è narrata nel filmThe Imitation Game) pubblicava quello che diventerà famoso appunto come Test di Turing il cui scopo è quello di determinare se una macchina sia in grado di pensare. Il punto è, tuttavia, che negli ultimi anni, gli algoritmi di IA si sono dimostrati in grado di superare, se pur come detto in maniera molto settoriale, le versioni aggiornate del test. Il secondo aspetto è anche più complesso: le tecnologie consentono certamente una migliore precisione nel lavoro, la realizzazione di prodotti qualitativamente elevati o, come nel caso delle applicazioni sanitarie, migliori condizioni di salute generali. Di contro però, è indubbio che il cambiamento prospettato possa essere traumatico per gli attuali assetti del mondo del lavoro: se con i primi robot industriali quella che temeva di avere ripercussioni sui livelli stipendiali ed occupazionali era prevalentemente la classe operaia e la manodopera a bassa specializzazione, l’avvento dell’intelligenza artificiale rischia di alzare notevolmente l’asticella. L’esempio di applicazione sanitaria fatto poco sopra è perfetto per spiegare: l’utilizzo degli applicativiBabylon Healthsono stati fortemente spinti in Gran Bretagna per via del notevole risparmio che avrebbe comportato per le casse dello Stato (nulla di nuovo, siamo ormai abituati al fatto che i processi decisionali e politici si basino essenzialmente su questioni economiche). D’altronde, il risultato collaterale (in guerra si chiamerebbe danno collaterale) è che anche una professione ad altissima specializzazione come quella del medico, viene nei fatti ridotta a livello di call center, peraltro con concorrenza globale (con tutto ciò che questo comporta sui livelli retributivi e a cui abbiamo già assistito in epoca di globalizzazione per la produzione industriale). Non è tutto: società private come la citataBabylon Health, fanno incetta di dati sanitari degli utenti, acquisendo gratuitamente (o quasi) un patrimonio informativo di valore strategico ed economico indeterminabile. Ovviamente ciò che vale per la sanità, vale anche per altri settori tipicamente collegati a livelli elevati di istruzione come la giustizia ad esempio: bot in grado di determinare responsabilità e livelli di colpa sulla base dei dati conosciuti che potrebbero, in teoria, sostituire avvocati e giudici; software basati su IA e blockchain che sostituiscano notai e via così, peraltro con risultati nel singolo servizio anche migliorati. Torna quindi in primo piano il problema etico e strategico: son sempre meno le cose che a livello meramente tecnico non possono essere delegate alla macchina. Proprio per questo motivo la scelta sul “cosa” delegare e il “come” delegarlo assume un ruolo ancora più importante. Se infatti la storia si basa proprio sull’evoluzione, anche tecnologica, che ha portato nel tempo notevoli miglioramenti alla vita dell’uomo, motivo per cui una fugatout courtdalle innovazioni appare inutile ed anzi dannosa, rimane fondamentale la scelta di indirizzo che a tale innovazione viene data proprio dall’uomo. Il tutto può essere riassunto da una frase di Isabella Covili Faggioli, presidente Aidp, a commento di uno studio effettuato proprio su come l’avvento delle nuove tecnologie viene percepito dai lavoratoti:“la digitalizzazione non è mai solo una questione tecnologica ma strategica. C’è sempre più la consapevolezza che a nulla serviranno le tecnologie se non ci riappropriamo del pensiero, che nulla succede se le persone non lo fanno accadere e che sono le persone che fanno la differenza”.