I PALESTINESI PREPARANO LA MARCIA DEL RITORNO

I PALESTINESI PREPARANO LA MARCIA DEL RITORNO

C’è grande agitazione in Israele in questi ultimi giorni. Tutti stanno a guardare quello che Hamas sta organizzando dall’altra parte della frontiera per aumentare una volta di più il livello di tensione già alto di per se stesso. A parte gli ultimi avvenimenti di stampo “bellico” che hanno messo più volte in allerta Israele, la battaglia si è spostata sul piano civile. I dirigenti di Hamas hanno indetto una serie di avvenimenti che cominceranno domani 30 marzo per concludersi il 15 maggio. Le date non sono casuali: la prima viene definita dagli arabi israeliani “la giornata della terra” in ricordo di una serie di espropri di terreni privati effettuati dal governo israeliano nel 1976. Lentamente l’accento di questa ricorrenza si è spostato sulla lotta per la parità dei diritti civili nella società israeliana. Il 15 maggio è invece la commemorazione della Nakba, il disastro, ovvero la fondazione dello Stato d’Israele di cui quest’anno ricorre il 70simo anniversario. Il programma palestinese prevede la creazione di almeno tre tendopoli da edificare lungo la striscia di Gaza dove dovrebbero alloggiare decine di migliaia di palestinesi, gli organizzatori sperano di raggiungere  un numero di almeno 100mila unità. Dalle tendopoli usciranno cortei a scopo pacifico, formati per lo più da anziani, donne e bambini, per riaffermare il diritto al ritorno da parte dei profughi palestinesi nell’attuale Israele. I commentatori israeliani vedono in una mossa del genere una risposta simmetrica  al trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Per il momento è Israele ad essere molto più preoccupato della mossa di Hamas che i palestinesi stessi. Per i quotidiani israeliani la marcia del ritorno è un argomento all’ordine del giorno già da diverso tempo, mentre in campo palestinese i quotidiani relegano la notizia in second ordine. La pagina Facebook  aperta dagli organizzatori per incoraggiare i partecipanti ha raccolto per il momento soltanto 7000 followers.  Gli israeliani hanno diversi motivi per non sottovalutare l’iniziativa. Prima di tutto un’invasione del genere è già accaduta nel 2012 sulle alture del Golan, allora si trattò di qualche centinaia di siriani che in poche ore ritornarono sui propri passi ad eccezione di pochi singoli che arrivarono fino a Tel Aviv. Ma ciò che più preoccupa l’esercito e il governo israeliano è la possibilità che la situazione sfugga di mano, l’esercito ha annunciato in maniera univoca che chiunque si avvicinerà a meno di 100 metri dalla recinzione di frontiera sarà considerato come un possibile invasore e quindi bersaglio delle truppe israeliane. E’ questo lo scenario più inquietante, Israele cercherà da un lato di evitare inutili vittime ma dall’altro dovrà fare in modo di riaffermare la propria forza deterrente per  non indurre i palestinesi di Gaza a tirare troppo la corda. Il fatto che i palestinesi abbiano deciso di non focalizzarsi su un unico avvenimento ma di trascinarlo per più di un mese potrebbe essere un tentativo diplomatico teso ad aprire una trattativa che porti palestinesi e israeliani ad un compromesso. La politica della lotta armata di Hamas si è rivelata per il momento fallimentare, l’accordo di pacificazione con Abu Mazen si è trasformato in un ennesimo buco nell’acqua, la crisi economica e la disoccupazione non fanno che aumentare il malcontento della popolazione. Un malcontento ancora maggiore se si paragona il livello di vita dei parenti ricchi della west bank, almeno tre volte maggiore. Per il momento tutti aspettano venerdì con la speranza che le preoccupazioni si rivelino infondate o perlomeno esagerate. Gli israeliani sono convinti che dietro a questo enorme sforzo logistico ed economico ci sia lo zampino del Qatar, un motivo in più per non abbassare il livello di guardia.