LE STORIE DELLA QUARANTENA: IL LIBRO COPIATO
Lei così come aveva suddiviso il suo tempo per non divenire preda dell’ozio, aveva suddiviso gli spazi di casa sua da sistemare e ,a volte, da rivoluzionare. Quella domenica di quarantena con la primavera fuori dalla finestra incitante alla disubbidienza civile, lei era determinata a non lasciare un angolo del suo Studio casalingo nella pace “dei sensi dei mobili “. Armata di piumino, panno, aspirapolvere, cattura acari e armi batteriologiche svariate, si era rinchiusa dentro quel suo specialissimo mondo. I suoi amati mobili la osservavano con malcelata ironia. Conoscevano la sua scarsa propensione alle attivita’ casalinghe, anche se in quella reclusione responsabile spesso si erano dovuti ricredere,ricevendo attenzioni inimmaginabili da parte di quella donna. Toccava a loro quella mattina e lo sguardo determinato di lei lasciava supporre che sarebbero stati strigliati a dovere, collocati in altri posti e tremavano al pensiero di dovere lasciare il posticino dove si erano piacevolmente allocati. La sua imponente scrivania a darle la sicurezza dei pensieri, perennemente vestita di carte. E la libreria possente, capace di sopportare il peso della Giuridica Treccani che lei amava tanto anche adesso che aveva il diritto a portata di un click. Il Noce italiano e il ciliegio rassicuranti nel loro colore, nel loro odore, nei loro intarsi sobri e nelle cesellature artigianalj. Quella stanza era il suo universo casalingo quando poteva stare con se stessa. Quando i mobili vivevano e lei era tra amici,dentro quella sua concezione animistica degli oggetti. Quando poteva a suo piacimento essere un principe del foro o Messalina, un pirata o Lilith, o semplicemente gustare il suo Prosecco osservando le ombre e i loro giochi sopra il muro. Avrebbe sistemato per primi i Iibri della libreria , la parte dentro la vetrina, perenne ricettacolo di fogli lasciati lì per una collocazione in origine solo momentanea divenuta poi perpetua, mai per mancanza di tempo ma solo per abitudine ai posti. Aveva una abilità innata a sistemare nei modi più disparati libri ed agende e in realtà ne entravano tanti, oltre la normale capienza avrebbero detto quei mobili potendo parlare. Ne aveva tirati fuori parecchi. Qualche antiestetica orecchia rappresentava per lei il gusto eccelso provato nel leggere quel libro che recava in sè traccia del gradimento, come fosse una medaglia al valore. Era giunto fra le sue mani timidamente come vi fosse stato spinto dai più blasonati compagni di avventura. Non era un libro. Non era un quaderno. O meglio: era entrambe le cose.E lei lo aveva conservato negli anni con tenerezza e amore. E, tenendolo fra le mani, comprendeva tante cose di sè. Aveva undici anni. Frequentava il primo anno di scuola media. Il professore di lettere ogni mese chiedeva loro di scegliere un libro in biblioteca e di leggerlo.Lei amava leggere. Quel mese aveva scelto un dramma di Friedrich Schiller: Guglielmo Tell. La trama sin da subito l’aveva avvinta. Lei pensava, ricordando, che negli anni era sempre stato così. Aveva amato le battaglie contro i soprusi. Aveva scelto sempre di battersi contro le ingiustizie e non aveva scelto mai le vie di comodo. Guglielmo che non ossequia lo stupido cappello del potere. Guglielmo che deve dimostrare di non essere un sedizioso. Guglielmo, un uomo comune messo dinanzi a una prova immane e crudele. Deve lanciare una freccia e colpire la mela posta sulla testa del proprio figlioletto. E lei la ricordava tutta l’indignazione di quella ragazzina a leggere, il suo fremere contro quell’orribile prova chiesta a un padre.Giglielmo che scocca il dardo e giura vendetta. Guglielmo che colpisce la mela, che diviene ribelle ed eroe e scalza il tiranno. L’aveva amata quella storia, letta quasi d’un fiato pur nel linguaggio non semplice del dramma. Non avrebbe voluto restituire il libro. Ma il mese stava per scadere e quell’opera sublime sarebbe ritornata a essere un numero sopra gli scaffali della biblioteca. Non voleva chiedere ai suoi genitori quel regalo. Decise di fare a modo suo. Avrebbe avuto quel libro. Nell’unico modo in cui il suo giovane spirito le aveva suggerito: lo avrebbe copiato. Aveva scelto con cura il quaderno. Uno a tema. Era riuscita a trovarlo. Aveva cominciato a scrivere in bella calligrafia. Le sarebbe servito per sempre. Ogni sera copiava una decina di pagine. Una sera suo padre l’aveva vista pensierosa.– Cosa c’è che non va?- le aveva chiesto.– Devo mettere una copertina rigida a un quaderno e non riesco a fare i buchi senza rovinarlo- aveva risposto lei. Lui le si era avvicinato e aveva visto la meravigliosa opera di amanuense della figlia. I due libri, l’originale e il copiato erano l’uno accanto all’altro sulla piccola scrivania. Il papà aveva capito. Ma non aveva detto nulla. I suoi occhi erano improvvisamente divenuti lucidi. Comprendeva la passione della figlia per quel libro, lui che di libri ne aveva posseduti pochi perche’ non poteva comprarli. Fecero i buchi e con cura rilegarono quel libro copiato con la foderina rigida che lo avrebbe protetto. Lei aveva stretto quel libro strano al suo cuore. Due giorni dopo il suo papà l’aveva portata nella più grande libreria della sua città. Sembrava una farfalla a svolazzare felice e colorata in mezzo a quegli scaffali pieni di libri. Alla fine non aveva scelto Guglielmo Tell. Quello l’aveva già. Era il suo “libro copiato”. Le aveva regalato Michele Strogoff che lei aveva scelto fra migliaia di titoli.Con quel libro stretto fra le mani, saltellava felice e lui le aveva detto: – da oggi il tuo soprannome sarà Vittorio, perche’ per te vale il detto ” volli, sempre volli, fortissimamente volli” –Lei fu sempre Vittorio (Alfieri) per suo padre. Pulì a fondo quella stanza, ma rimise tutto al suo posto originario. Aveva compreso che le sue cose amavano stare nei loro posti in cui la sua mano, anche da cieca, li avrebbe trovati. Persino il suo libro copiato.
