PERCHE’ NON CHIAMARLO “IUS TEMPERATO DI CITTADINANZA”?
Sono convinto che il termine “ius soli” porti sfiga a questa riforma sacrosanta, attesa da almeno 800 mila ragazzi, italiani di fatto e non diritto, che conoscono bene solo la nostra lingua, che vanno a scuola con i nostri figli, che tifano per la Juve, per l’Inter, per la Roma o per il Napoli. Una locuzione del tutto fuorviante, per due ragioni. Primo perché fa pensare che basti nascere in Italia per essere italiani, come negli Stati Uniti o in Canada. Una donna partorisce sul barcone, in acque italiane, o appena approdata, ed è italiano il figlio o la figlia. “L’Italia rischia di essere la più grande sala parto del Mediterraneo” ha dichiarato al Corriere della Sera, l’ex city manager di Milano Stefano Parisi, senza che alcuno gli obiettasse alcunché. E Salvini, a “Di martedì”: “Rischiamo di dare la cittadinanza al primo che passa”, anche qui, incontrastato. E l’uomo della strada, quello che poi chiacchiera al bar e scrive anche su Fb, pensa proprio questo, non aiutato da giornali e tv, protagonisti in blocco di una delle peggiori perfromances informative da molti anni a questa parte. Un tizio, su Fb, ha appena commentato che qui si vuole creare un esercito di potenziali terroristi, o una sciocchezza del genere. Ma “ius soli” è locuzione fuorviante anche per un’altra ragione. Lo “ius soli” in Italia, già c’è. Il ragazzo che nasce in Italia e vi trascorra 18 anni senza interruzione, può, quando diventa maggiorenne, far domanda di cittadinanza. Uno “ius soli” alla nazista, per cui se segui tuo padre per due anni in Svizzera, perché in Italia ha perso il lavoro, e poi la famiglia ritorna, mi spiace, hai perso l’occasione. E nazista perché manco ti mandano automaticamente a casa la cittadinanza: no, ti costringono a fare domanda. E se a 19 anni non l’hai fatta: marameo, rischi di diventare irregolare. Diciamolo con una parola forte: clandestino. Tu, che non conosci altro che l’Italia. Per questo darei un suggerimento, ai cervelli senza fosforo di molti deputati che sostengono di credere in questa riforma, a quelli dei sindacalisti, dei leader di associazioni e delle ong. Chiamiamolo “ius temperato di cittadinanza”. Sempre: in ogni intervento, in ogni titolo, in ogni articolo, in ogni apparizione televisiva, in ogni colloquio radiofonico. Suona più corretto e mette all’angolo lo schieramento xenofobo. Costringendo loro a chiedere: “Ma temperato de che?” E allora si può spiegare che per nascere italiano è necessario che almeno uno dei due genitori sia al livello massimo di integrazione, che è quello del permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Permesso che si può richiedere dopo cinque anni di residenza e di lavoro regolari, e ottenere quando la burocrazia si degno di concederlo. Se il Salvini di turno scuote la testa, ecco la schiacciata vincente: gli si spiega che non nei paesi cattocomunisti, ma nel Regno Unito conservatore e nella Gemania di Frau Merkel vigono proprio queste regole. Avete mai sentito uno dei cervelli senza fosforo piddini fare l’esempio di questi due paesi? O qualcun altro a “Porta a Porta”, a “Di martedì” o in altri talk show? E allora mi viene fortemente un dubbio. Questi la riforma non la vogliono proprio. Ed è perciò che continuano a etichettarla come “ius soli”.
