LA “COLOMBINA”. DALLA SCOPERTA DEL NUOVO MONDO ALL’UTOPIA DELLA BIBLIOTECA UNIVERSALE

LA “COLOMBINA”. DALLA SCOPERTA DEL NUOVO MONDO ALL’UTOPIA DELLA BIBLIOTECA UNIVERSALE

Di libri che parlano di librerie, biblioteche e bibliofilia ne esistono molti. Senza riandare ai racconti tramandati dall’antica età sull’incendio della biblioteca di Alessandria e la tragica morte di Ipazia, possiamo contare nell’ultimo secolo su almeno tre autori: Jorge Luis Borges di cui esce nel 1941 “La biblioteca di Babele”, Carlos Ruiz Zafon di cui esce tra il 2001 e il 2016 “La tetralogia del cimitero dei libri dimenticati” e Glenn Cooper di cui esce tra il 2009 e il 2016 “La triologia della biblioteca dei morti”. Chi ama i libri difficilmente scamperà alla tentazione di leggere queste opere sebbene gli possa sfuggire qualcosa come è accaduto a me con Glenn Cooper del quale, tuttavia, dopo averne parlato con un amico ho messo in programma la lettura. Gli estimatori di Glenn Cooper mi perdoneranno, però, sapendo che ce ne sono altri, fra i libri del genere, che non mi sono sfuggiti. Per esempio nel 2015 proprio Alganews mi pubblicò una recensione intitolata “Il club Dumas e i sentieri della bibliofilia” dedicato ad Arturo Pérez-Reverte, e ho conosciuto il mio ormai abituale editore (Robin Edizioni) Claudio Maria Messina, la cui “Guida ragionata alle librerie antiquarie e d’occasione d’Italia” è del 2000, dopo aver letto nella terza edizione (2008) il suo romanzo “Il libraio di viale Mazzini”. Adesso colgo anche l’occasione per parlarvi di un saggio appena uscito in Italia che narra di una biblioteca davvero importante della quale, prima,  non conoscevo neppure l’esistenza. L’autore è Edward Wilson-Lee e il saggio si intitola “Il catalogo dei libri naufragati” (Bollati Boringhieri Editore, Torino 2019). Cominciamo col dire che questo testo si presenta come un saggio di rara eleganza, dalla copertina rigida e la sovra copertina illustrata da Joe McLaren, ma a me sembra qualcosa di più e di diverso rispetto a ciò che appare, perché narra la vicenda assai avventurosa dei libri raccolti per costituire una biblioteca universale nientemeno che da Fernando Colón, figlio naturale di Cristoforo Colombo (il figlio legittimo e primogenito si chiamava Diego) che non solo navigò col padre su una delle caravelle che salparono da Cadice verso i Caraibi nella quarta traversata dell’Oceano Atlantico, ma fu anche suo agiografo e ne descrisse le gesta con le “Historie del S. D. Fernando Colombo; Nelle quali s’ha particolare, et vera relatione della vita, et de’ fatti dell’Ammiraglio D. Christoforo Colombo, suo padre; Et dello scoprimento, ch’egli fece delle Indie Occidentali, dette Nuovo Mondo”. La biblioteca di Fernando Colòn esiste ancora, sebbene non contenga più tutti i libri, i fogli e i manifesti, che il suo curatore pazientemente e dispendiosamente raccolse in giro per il mondo, e ho già detto che personalmente non ne conoscevo neppure l’esistenza quando capitai anni fa nella fascinosa Siviglia, capitale dell’Andalusia. Solo ignoranza la mia, naturalmente, perché questa biblioteca si trova all’estremità occidentale del Patio de los Naranjos della Cattedrale, che è la cattedrale gotica più grande del mondo e una capatina, per chi va a Siviglia, è quasi d’obbligo. Ciononostante, ora che ho appena finito di leggere il libro di Edward Wilson-Lee, per lo strano miracolo che capita quando un autore è capace di trascinarti all’interno del mondo di cui egli ha inteso parlarti, mi sembra di esserci stato. Vediamo allora, almeno per sommi capi, come si chiama questa biblioteca, com’è fatta e cosa contiene. Si capisce che bisogna leggere il libro per avere tutte le informazioni che rendono conto dei suoi scopi e del suo contenuto, ma fin d’ora possiamo dire che passa sotto il nome diBiblioteca Capitular Colombina en Sevillae che, già a vederla nella fotografia, è bellissima. La scorgete allegata a quest’articolo, con l’espositore a vetri su tavolo di legno lucido al centro e, alle pareti, librerie anch’esse di legno intarsiato ai bordi che contengono file di volumidisposti in verticale, con il titolo e il numero di accesso ai tomi che rasenta il sadismo. La parte in corsivo è del giornalista Marco Cicala che ne scrive sul Venerdì di Repubblica del 4 gennaio scorso aggiungendo che dovremmo immaginare particolarità non più rappresentabili nella fotografia come le gabbie nelle quali per i lettori ospiti, in origine, era previstauna grata di metallo posizionata a circa due metri dagli scaffali […] abbastanza larga da permettere di infilare le mani tra le sbarre e voltare le pagine dei volumi che i bibliotecari avrebbero sistemato appositamente su dei leggii, ma troppo stretta per far passare un libro. L’altra particolarità è che la biblioteca, prima di essere trasferita nella sede attuale, era collocata all’interno della casa privata di Fernando ed era conosciuta comeFernandina, nome convertito inColombinaquando fu trasferita nella cattedrale di Siviglia. Ma la storia è ancora più complessa, perché Fernando aveva girato il mondo per acquisire questa sua collezione epperò, dopo avere raccolto 15.000 pezzi, ne sarebbero rimasti circa 6.000 (così racconta l’attuale bibliotecaria) e, tra quelli perduti, ben 1637 che danno il titolo all’opera di Edward Wilson-Lee, ascrivibili a un carico affondato durante il naufragio nel golfo di Napoli di ritorno da uno dei numerosi trasporti che seguivano l’instancabile ricerca di testi stampati. Già: stampati! Perché questa è la peculiarità di Fernando Colón: ricercare testi a stampa, financo volantini o fogliacci, il che al tempo rendeva credibile l’ambizione di realizzare una biblioteca universale considerato che solo pochi decenni prima della scoperta del Nuovo Mondo, l’inventore dei caratteri mobili Gutenberg aveva fatto uscire per la prima volta dalla sua tipografia un’intera Bibbia cristiana. Ma torniamo al libro di Edward Wilson-Lee. Intanto dobbiamo dire che le 340 pagine di cui si compone “Il catalogo dei libri naufragati”, sono ottimamente tradotte da Susanna Bourlot. Poi che è suddiviso in quattro parti, ciascuna col suo titolo: “L’apprendista stregone”, “Un linguaggio di immagini”, “Un atlante della parola” e “Fare ordine”.Infine le quattro parti sono precedute da mappe e prologo nonché seguite dalle note (fonti comprese), dall’elenco delle illustrazioni (copiose e splendide) e dall’indice di nomi e luoghi. Non mancano, è ovvio, i ringraziamenti per i collaboratori che a vario titolo hanno affiancato l’Autore nella sua opera e, fin qui, niente di strano. Senonché i titoli delle parti di cui si compone il libro suggeriscono, come ho già detto, un percorso assai più avventuroso e meno tradizionale di un ordinario saggio: prossimo, direi, alla narrazione delle avventure di un viaggiatore e alla loro rappresentazione in immagini per terminare con una missione che caratterizza la ricerca di Fernando Colòn, cioè fare ordine. Nessuno pensi, a questo punto, che tale ordine abbia avuto la pretesa di somigliare a un’idea di società o, per meglio dire, di modello statuale. L’ordine richiamato nella parte con cui il libro si conclude è, molto più prosaicamente, il modo in cui Fernando organizza la sua biblioteca, ovvero con moderna precisione: per liste, categorie, numeri e titoli. Il che fa dire a Edward Wilson-Lee:[…] sebbene sia morto quasi cinquecento anni fa, la scoperta del suo mondo presenta somiglianze impressionanti, a volte inquietanti, con ciò che scopriamo collettivamente ogni giorno. Forse nessuno si è sentito più inerme davanti all’informazione di chi ha vissuto i primi anni del XXI secolo: la rivoluzione digitale ha aumentato in modo esponenziale la quantità di notizie disponibili, con il risultato che oggi dipendiamo totalmente dagli algoritmi di ricerca creati per navigare, strumenti i cui modi di ordinare, classificare e categorizzare stanno velocemente ridefinendo la nostra vita. L’invenzione della stampa fu un’altra di queste rivoluzioni, e gli strumenti sviluppati in risposta hanno influito profondamente su quello che era il nostro mondo fino a ieri. Il libro va letto con calma perché è una pietanza che contiene spezie da assaporare senza ingordigia. Un po’ di erudizione (mi spiego meglio) non avrà altro sapore che quello di una raffinata cucina perché Edward Wilson-Lee non improvvisa ed è straordinariamente colto: cosmopolita, nato in Kenia da genitori naturalisti ed autori di documentari, ha studiato in Svizzera e si è laureato in letteratura inglese alla University College di Londra, ha ottenuto il dottorato a Oxford e Cambridge, è esperto di Shakespeare e insegna al Sidney Sussex College. Questo non è un libro di esordio, del resto, ma solo la sua prima opera che appare in Italiano. Ed è interessante seguire, con l’Autore, Fernando nei suoi viaggi intorno al mondo ma anche intorno alla figura del padre Cristoforo, alla sua fortuna, alle sue disgrazie e di nuovo alla sua fortuna. Bisognerà chiudere un occhio sull’andamento agiografico delle memorie di Fernando, ma non su come le riferisce il nostro Autore: ricche, semmai, di verifiche e di dettagli. L’avventura c’è, e non sta solo nei viaggi ma anche in capitoli essenziali come quello intitolato aIl libro delle profezieconservato nella “Colombina” sebbene contrassegnato dall’intervento di molte mani, a cominciare da quelle dello stesso Fernando, e mancante di frammenti non si sa né per quale ragione né da chi rimossi. Non dimentichiamo che siamo ai tempi di Torquemada, il Grande Inquisitore, e che l’intento di scrivere il“Libro delle profezie”, Cristoforo Colombo lo maturò quando l’esploratore ormai vecchio e malandato rivelò al figlio un progetto segreto, un piano che prometteva di rivelare il mondo sotto una luce nuova. Scrive testualmente Edward Wilson-Lee:[…] un’opera destinata ad elevare le scoperte di Colombo sopra i gretti calcoli dei costi e dei benefici su cui si concentravano molti dei dibattiti a corte, inserendole invece all’interno di una grande narrazione religiosa della storia e interpretandole come gli avvenimenti che avrebbero preparato il terreno al trionfo della fede cristiana e alla fine dei tempi. Assaporatelo, allora, questo libro, ma da qui in avanti fatelo da soli… cogliendo gli aspetti di assoluta modernità, ma anche le contraddizioni che ci inducono a riflettere su quanto l’eterogenesi dei fini possa avvicinarsi persino alle più grandi delle imprese umane. È di questi giorni, difatti, la notizia che ben diciannove città americane rinnegano lo scopritore dell’America non per ragioni di primogenitura, come pure avvenuto in passato, ma perché (si dice) aumentano esponenzialmente coloro che gli addebitano la responsabilità se non materiale almeno morale del genocidio degli indios e degli altri nativi; tant’è che persino Los Angeles cancella da questo 2019 il tradizionale Colombus Day trasformandolo nellagiornata delle popolazioni indigeneaffiancata, per non scontentare nessuno, da unagiornata del patrimonio italiano. Capito? Personalmente, al momento, non saprei cosa pensarne.