AMERICA LATINA: INIZIA UN NUOVO CICLO TRA I COLPI DI CODA DELLA DESTRA

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE A BUENOS AIRES Che cos’hanno in comune le proteste in Cile, gli scontri sui risultati delle elezioni in Bolivia e la visita del neopresidente argentino Alberto Fernández in Messico? Sono tre segnali – semmai ce ne fosse ancora bisogno – dello spostamento di forze ed equilibri in Sudamerica.La sconfitta elettorale di Mauricio Macri fa pensare a una nuova chiusura di ciclo, dopo la fine del kirchnerismo (ma non la scomparsa di scena di Cristina) del 2015 (https://www.alganews.it/2019/10/28/elezioni-argentine-un-voto-al-buonsenso-per-alberto-fernandez-che-passa-al-primo-turno/). Un ciclo breve. Brevissimo. Quello di una destra neoliberale che per la prima volta arriva al potere grazie a libere elezioni e non un colpo di stato. Quattro anni, giusto il tempo di ricevere un paese senza debiti e indebitarlo di nuovo fino alla bancarotta. Il tempo di ricevere un paese con un’inflazione del 25 per cento (comunque troppo alta) e restituirlo con un livello che sfiora il 50 per cento annuo, un tasso di disoccupazione raddoppiato, una recessione annua del 3 per cento e livelli di povertà che sfioranbo il 40 per cento. Il dollaro, scambiato attorno ai 13 pesos alla fine del 2015, viaggia ora oltre i 60. E mentre Macri si difende incolpando la pessima situazione economica (lapesada herencia, l’eredità pesante) ricevuta dal governo precedente, le bollette di gas, acqua e luce – congelate fino alle elezioni – aumenteranno nei prossimi mesi, recuperando il pregresso. E di questo dovrà farsi carico il nuovo governo.“Un fallimento economico sorprendente”. Così definisce i quattro anni di governo macrista Federico Sturzenegger, ex presidente della Banca Centrale, licenziato nel 2017 per ordine del Fondo Monetario Internazionale, come condizione per concedere il mega prestito stand-by e rimandare la bancarotta del paese per proteggere Macri nelle elezioni di mid-term. Difficile definire in altro modo un paese che ha ricevuto un prestito di 45mila milioni di dollari e ora è costretto a limitare la vendita di divisa per proteggere le proprie erose riserve. Sturzenegger, in un’analisi pubblicata daAmerican Quarterly, una rivista economica Usa, nota che Macri godeva di un clima interno e internazionale favorevole e che nemmeno lapesada herenciapuò giustificare il disastro che si lascia alle spalle. Il rischio paese è oltre i 2200 punti.Alberto Fernández, che assumerà ufficialmente in dicembre, è attualmente in Messico, per creare con il presidente Andrés Manuel López Obrador (noto anche con l’acronimo AMLO) un nuovo asse progressista latinoamericano (www.alganews.it/2018/07/03/miracolo-messicano-obrador-presidente-di-sinistra-che-vince-le-elezioni-con-un-programma-di-sinistra/).Si chiude un ciclo anche in Cile, il ciclo pinochettiano, di cui Sebastián Piñera, l’attuale presidente, sembrava l’erede dal volto presentabile. Sul piano delle politiche economiche, prima di tutto. Ma anche su quello politico, ora che la locomotiva sudamericana si scopre “carro bestiame” per la maggioranza dei suoi cittadini e che questi scendono in strada a protestare, esasperati. Da tre settimane continua il coprifuoco e lo stato d’eccezione (nella foto, immagini delle manifestazioni); da tre settimane i i cileni sfidano la repressione e chiedono le dimissioni di Piñera (www.alganews.it/2019/10/22/cileni-in-rivolta-chiedono-le-dimissioni-del-presidente-pinera/). Sono 4000 le persone arrestate, di cui oltre 470 minorenni. Centinaia di manifestanti hanno perso un occhio a causa delle pallottole di gomma usate dai famigeraticarabineros. E si moltiplicano le accuse di tortura, stupro e violazioni dei diritti umani.In Bolivia Evo Morales, dopo una serie di dati contrastanti (www.alganews.it/2019/10/23/bolivia-braccio-di-ferro-sul-ballottaggio-tra-accuse-di-brogli-elettorali/) avrebbe vinto le elezioni al primo turno, riconfermandosi presidente per un quarto mandato. Ma l’opposizione non accetta il risultato elettorale e, con l’appoggio dell’Organizzazione degli Stati Americani (dove è egemonica la posizione statunitense), chiede continuamente di ricontare i voti, mentre le provincie del sud – le più ricche e antigovernative – organizzano proteste di massa. Il paese è a un passo dalla guerra civile.L’Europa guarda e non capisce. Da tempo fa coincidere ciò che è democratico con ciò che pare rassicurante, proprio come il sorriso splendente di Piñera o le signore borghesi ingioiellate che hanno partecipato ai raduni elettorali di Macri. Ogni riferimento al popolo diventa populismo, ogni reclamo per la sovranità nazionale è tacciato di sovranismo. L’Europa guarda e non capisce. E rischia di finire soffocata dalla propria ipocrisia.