A KABUL SI CONTINUA A MORIRE

A KABUL SI CONTINUA A MORIRE

Passati dicembre (2001) e gennaio (2002) in una casa afghana malmessa e con le finestre rotte (di notte si scendeva a meno venti pechè Kabul, lo ricordo, sta a duemila metri) sentimmo parlare della riapertura dell’hotel Intercontinental chiuso per tutta la durata del regime talebano. In effetti avevano riaperto solo i primi tre piani ma certo valeva la pena provare. Stava in alto, dominava la città, ma era lontano dal centro e di notte insomma non era un bel viaggio. Mi convinse Shafiq. Le ore di differenza di fuso erano tre e mezza e dunque dopo la diretta delle 20 si andava, al buio totale, intorno a mezzanotte. Il livello non era granchè. Ci rimasi due settimane. Non mi sentivo sicuro, giravano troppi butti ceffi. Decisi di tornare al centro vicino al centro tv e a tutte le ambasciate. Molto meglio essere protetto da tagiki in una città tagika. Tornammo in un albergo molti anni dopo quando aprì il Serena hotel ma anche lì ci furono assaltti dei talebani. Ho letto che ieri hanno di nuovo fatto irruzione all’Intercontinental. Ufficialmente diciotto morti, ma c’è chi dice 43. In un altro attacco già nel  2011 ci furono venti vittime. Non c’è pace per l’Afghanistan. Una vita (17  anni) fa e molti morti dopo la pace sembra ancora lontana, così come in Iraq. Forse bisogna davvero chiedersi a questo punto se bisogna sempre rispondere al richiamo americano. Non posso evitare di ricordare che quando non rispondevo al cellulare, Shafiq chiamava a casa. E raccontava tutto a Rosaria. Una volta le mandò anche un  burka: lo provò, restò choccata. Lei restituiva con biscotti per i bambini.