IN MARE APERTO PER LA SALVEZZA DEL PIANETA E PER IL FUTURO
Ma misi me per l’alto mare aperto Viviamo un tempo triste, chiuso su se stesso, un tempo che affoga in un presente senza speranza. Un tempo che guarda con terrore al domani, alle catastrofi che incombono, alla fine di un mondo. Ed è vero, è così. La nostra è l’età della fine del mondo. Se non quella delle profezie e dell’apocalisse, la nostra è di certo la fine del mondo come l’abbiamo conosciuto – guardava troppo avanti Michael Stipe. La fine della fiducia nel progresso, della fede nella scienza, della speranza in un domani migliore. “Arricchitevi!” era un programma buono per l’Ottocento. Il secolo scorso si aprì con una rivoluzione e si chiuse, prima di chiudersi anagraficamente, con una controrivoluzione. Questo secolo nato da poco non è nemmeno più nel segno dell’affarismo, ma ormai sotto il segno dell’arraffismo: l’economia preda e depreda tutto e tutti, la catena alimentare che la regola è sempre più corta. Si uccide e ci si uccide, finanziariamente parlando, per ritorni sempre più esigui e improbabili. Non c’è progetto a medio termine, immaginiamoci a lungo: c’è l’hic et nunc, l’illico et immediate. Carpe diem. Ruit hora. Tra trent’anni, un nonnulla dal punto di vista geologico, vaste regioni del globo potrebbero essere inabitabili. Se non si fa nulla da adesso, in molti Paesi saranno normali temperature estive estreme, con ondate di calore sino a 60 gradi che potranno durare settimane e settimane. Centinaia di milioni di persone cercheranno di fuggire da queste waste lands. L’ecosistema viaggia verso l’implosione: mari troppo caldi e acidi per ospitare la vita, terre sempre meno fertili, deforestazione terminale, conflitti per l’acqua e le risorse. La stessa troposfera diverrà meno respirabile man mano che le temperature saliranno. Mia figlia nel 2050 avrà 41 anni appena. Io non credo ci sarò più, ma lei sì. Lo stesso vale per molti di voi e per i vostri figli. Vogliamo davvero consegnare una discarica in fiamme ai nostri figli? Possibile che non sappiamo ascoltare chi ci implora di non condannarlo a ereditare un inferno inabitabile? Che cuore abbiamo per guardare negli occhi un’umanità che noi stessi spingiamo verso l’estinzione per egoismo, avidità, stupidità? La catastrofe non è un incubo che un risveglio in un mattino radioso potrà cancellare. Il disastro è già nelle cose, scritto nella nostra indifferenza, sigillato dalla nostra apatia. Abbiamo poco tempo, forse pochissimo, per tentare di mutare il corso di questa tragedia. Ma possiamo ancora metterci per l’alto mare aperto. Possiamo cercare un legno e dei compagni di avventura. Possiamo esercitare un ultimo atto di autodeterminazione, alzare un grido disperato di libertà. Dobbiamo farlo. Non possiamo arrenderci. Non ne abbiamo il diritto. Possiamo tentare di ribaltare un finale già decretato. Possiamo ancora tentare di curare il mondo. Possiamo scegliere ancora di vivere e di far vivere. Tocca a noi metterci per l’alto mare aperto.
