PONTI FATISCENTI E GIORNALISMO, UN BELL’ESEMPIO DALLA NORVEGIA

PONTI FATISCENTI E GIORNALISMO, UN BELL’ESEMPIO DALLA NORVEGIA

Sono molti, molti mesi che qui non si indicano più begli esempi di giornalismo come si faceva un tempo, ma vale la pena di raccontare di una straordinaria coincidenza capitata in questi giorni. Mentre come tutti l’altro ieri seguivo gli sviluppi dellatragedia del ponte Morandi crollato a Genova, mi è arrivata una email dellaOnline News Associationche mi comunicava ifinalisti degli Online Journalism Awardsdi quest’anno e nella categoriaInnovation in Investigative Journalismho scoperto un bellissimo progetto diVG, una delle più importanti testate norvegesi, che ha mappato lo stato di manutenzione di tutti i 16.971 ponti sulle strade locali e nazionali del Paese. Uno splendido esempio che val la pena di studiare con attenzione perché in una inchiesta lunga un anno ha messo insieme: data journalism, grafica innovativa, intelligenza artificiale, scrittura automatizzata, collaborazione con i lettori e, sì, anche tante proverbiali “suole delle scarpe consumate”. Si intitola “I ponti trascurati” e analizza lo stato dei ponti sulle strade gestite dalla Norwegian Public Roads Administration (NPRA), con l’esclusione cioè dei ponti gestiti dalle amministrazioni comunali. Il risultato offerto ai cittadini e ai politici all’inizio di novembre 2017 è formato da: In seguito alla pubblicazione dell’inchiesta e del database, la questione è stata messa all’ordine del giorno dei lavori parlamentari e di molte amminstrazioni. La cosa più interessante è come la redazione di VG  ha costruito l’inchiesta,ce lo spiegano loro in un servizio ad hoc: Ecco, non mi sembra che ci possa essere un esempio più chiaro delle possibilità offerte dal digitale al giornalismo, possibilità che semplicemente in un mondo analogico semplicemente non ci sarebbero state. I giornalisti non si limitano a raccogliere i documenti esistenti, ma ne estraggono i dati, li mettono a confronto con altri dati e con le osservazioni dirette e creano così un insieme di dati di un’ampiezza prima inesistente e – specialmente – li mettono a disposizione dei cittadini. C’è anche un’uso molto intelligente della possibilità offerte dalla scrittura automatica, cioè dei software che creano testi narrativi comprensibili da un insieme di dati strutturati. Finora era stata applicata alle relazioni  trimestrali delle aziende, ai terremoti, allo sport, ora si applica alla cronaca. Tutti i timorosi che l’automazione avrebbe ucciso i giornalisti sono serviti: invece di perdere tempo a scrivere 426 schede per ogni comune, i giornalisti hanno usato il loro tempo e la loro capacità, fra l’altro, per andare sul posto, per intervistare, fotografare, analizzare e – naturalmente – scrivere, ma scrivere ciò che la macchina non può fare. Certo aiuta il fatto cheVGsia parte di una grande casa editrice europea, la Schibsted, che da anni ha fatto della transizione digitale il centro della sua strategia di crescita – ma anche che la redazione abbia con entusiasmo creduto nelle nuove possibilità offerte dagli strumenti digitali, tanto cheVGera stato finalista nella stessa categoria degli Online Journalism Awards nel 2016 conuna inchiesta sulle violenze nelle divisioni di Psichiatria degli  ospedali norvegesie l’anno scorso aveva vinto il premio nella categoria per “gli eventi programmati” con unospeciale sul mondiale di scacchi. Parlandone con alcuni amici, ieri sera, mi è stato fatto notare che da noi i ponti sono molti di più. Un utileservizio diMilena Gabanellidi qualche mese suCorriere.itfa ci informa che sono 30.000 quelli gestiti dalle province e 14.800 quelli gestiti dall’ANAS – poi ci sono, naturalmente, quelli autostradali gestiti dalle concessionarie, come quello crollato a Genova. A parte il fatto che anche i giornalisti italiani sono molti di più di quelli norvegesi, forse si potrebbe cominciare con una parte. In ogni caso, mi sembra che il database diVGsia il classico esempio di quelle “infrastrutture della conoscenza” nella costruzione delle quali i giornalisti e le loro redazioni dovrebbero impegnarsi, magari in modo collaborativo per poi trarne ciascuno a modo suo i servizi che credono. Era a questo genere di cose che pensavo un paio di anni fa quando immaginavoun ruolo diverso per il servizio pubblico di informazione della RAI, come piattaforma e motore dell’innovazione digitale in campo giornalistico. Vabbè, si dice così, tanto per dire. Magari ci risentiamo tra altri otto mesi, sempre che questo blog nato 15 anni orsono e sopravvissuto ad antiche stagioni e su una piattaforma-zombie non venga utilmente e definitivamente messo a riposo.