LETTERE DA UN PAESE CHIUSO,26, ALLA FESTA DEI PADRI

A traversare viale Campania, adesso, passi anche con il semaforo rosso, senza fretta. Ma per il fornaio dall’altra parte della strada ieri era l’ultimo giorno. Il fornaio è rimasto a casa con la febbre. Sono rimaste a casa le commesse. La signora era al bancone, ieri, solo per dare arrivederci ai clienti. Oggi è chiuso.Dei 475 morti delle ultime 24 ore, 319 erano in Lombardia. A Bergamo camion dell’esercito hanno portato altrove, in Lombardia, in Emilia, in Friuli, 65 salme. Non basta più il forno crematorio locale. Ci saranno misure più restrittive, è inevitabile.Voglio tornare a una questione che ho sfiorato ieri. Se si tratta di difendere il governo in carica, il conformismo giornalistico italiano non ha vergogna a stabilire che Boris Johnson è un nazista, teniamoci stretto il nostro Conte e il modello italiano che tutti copiano, sembra la mozzarella o il parmigiano reggiano. E in effetti tutti si muovono in ritardo, come se non ci avessero preso sul serio (solo la CNN dice che l’Italia è un fallimento, ma al giornalismo che si vergognava per le gaffes internazionali dell’uno o dell’altro, Berlusconi o Salvini -che io non ho mai votato – adesso questo attestato di stima internazionale sfugge). Pochi sono andati a leggersi il discorso di Boris il pazzo: non è quello che vi hanno detto. E’ una strategia che possiamo respingere, ma che ha un senso: calcolano che la pandemia durerà un anno. Può chiudere la Gran Bretagna per un anno ? No, e allora: vecchi chiusi in casa per mesi, e divieti a singhiozzo: non pub, qualche scuola chiude qualche altra no, non grandi assembramenti ma piccoli sì. E chiarezza: moriranno in molti, è duro, ma dobbiamo reggere l’urto. Discutibile, ma ha un senso.E noi ? Ce l’ha detto qualcuno cosa si fa se la pandemia dura un anno ? Sfoglieremo i decreti come un calendario ? Possiamo bloccare tutto per sempre ? Troviamo una strategia che sia diversa dai ciuffi pazzi, Johnson e Trump, ma troviamola, o poniamoci il problema, non vendiamo la favola bella dei quindici giorni. Certo, a me rimane il dubbio che, a parità di scelte, se il premier inglese fosse stato Corbyn avrebbero parlato di Coventry della resilienza, se il presidente fosse stato Obama, avrebbero fatto come con la guerra dei droni: Nobel per la strategia antivirus.Povera Italia, davanti a una storia che segnerà una generazione, in attesa di un vaccino che arriverà tra un anno, e ti viene fatto credere che pochi giorni e ci siamo, passato il picco fuori dal tunnel. Cara Italia, così generosa da provare a salvare tutti, nessuno è un peso morto, non possiamo accettare che si debba pagare un prezzo alla pandemia, per uscirne. Mi viene in mente uno spettacolino – siamo un popolo di teatranti – che avevo fatto con Vanni De Lucia, un comunista inossidabile, ma per me un amico di infanzia, che il teatro lo fa per professione. L’idea era nata da una mia telefonata, a lui, dal cimitero di Udine, nove anni fa.Sono lì, davanti al loculo di mio padre. Fumo una sigaretta e lo sguardo cade su una fotografia, a un metro di distanza da mio padre. E’ zi’ Alfonso, il padre di Vanni. Erano tutti zii, in quel piazzale della mia infanzia, poliziotti e ambulanti. Telefono a Vanni. “Sai che stanno vicini?” “Allora han fatto un settore per i napoletani”. Confrontando le date, mi accorgo che se fossero stati vivi avrebbero compiuto 100 anni nel centocinquantenario dell’unità d’Italia. Lo spettacolino si chiamava “Pateme tiene cient’anni”, mio padre ha cent’anni. Era la storia improvvisata delle nostre infanzie, con cognomi meridionali e accento friulano, e dei nostri padri, dei loro difetti e dei nostri conflitti. Per concludere che, anni dopo, vuoi bene a tuo padre non perché era forte e invincibile, ma per le sue stranezze, le sue fissazioni, l’incertezza di quel diventare vecchi: li ami per la loro debolezza. Si ribaltano i rapporti: sei tu che tieni per mano lui, o il suo ricordo. Regalavo sempre, ogni 19 marzo, una bottiglia di Stock 84 a mio padre. Oggi mi aspetto una videochiamata dai miei figli, basta e avanza. Glielo raccontassi, a mio padre, quello che sta succedendo prenderebbe la videochiamata e questo assedio come una fanfaronata mia da ragazzino, e ridacchierebbe sotto i baffi, come a una bugia veniale, che non merita sberle.Certo è facile voler bene a una patria bella e giusta, e perfetta, che ha compiuto 150 anni nell’anno in cui i nostri padri ne avrebbero compiuti 100. La nostra non lo è. E’ piena di difetti, nelle istituzioni, nella classe politica, nella gente. Ma è come i padri (e patria e pater, hanno la stessa radice): devi volergli bene per i loro guai. Non avevamo mai affrontato un’epidemia, di Aids muoiono 600 persone l’anno, ma con le stimmate e lo stigma di una loro diversità. Della Sars mi ricordo solo il pollo mangiato da un amico, al Tg in diretta, per difendere migliaia di posti di lavoro. E adeso ci arrabattiamo: ci sono medici eroi che muoiono e medici che si imboscano, medici che raccolgono e ripetono alle famiglie le ultime parole di un padre nonno che se ne va, e le parole del sottosegretario Andrea Martella, sul Corsera di ieri. Ha detto . “Bisogna affidarsi ai professionisti dell’informazione, un settore centrale della lotta al virus e un antidoto alle fake news”. Forse gli era sfuggito quel dettaglio buffo, quel tracimare di correttezza politica, del giorno prima, un lavoro da professionisti. Sullo stesso Corsera, a pag. 10 c’era la foto del neonato al Niguarda, con il pannolino e la scritta “andrà tutto bene”. La stessa foto campeggiava sulla prima pagina di Repubblica, però il bambino era diventato nero. Sono andato a vedere l’originale, qui sul sito FB del Niguarda, e il neonato è un po’ rosso per il trauma del parto, ma indubitabilmente bianco. Credo che l’intenzione di Repubblica fosse buona: nascono anche bambini neri. Oppure confermare che il mondo è come le foto di Toscani per Benetton, ha tanti colori. O forse il problema continua a essere il razzismo. Il giornalismo come impegno, diciamo. Buona festa del papà.