ORBAN, IL COPYRIGHT E LA COSCIENZA SPORCA DI UNA EUROPA MORIBONDA

ORBAN, IL COPYRIGHT E LA COSCIENZA SPORCA DI UNA EUROPA MORIBONDA

L‘approvazione da parte del Parlamento Europeo delle risoluzioni  contro il premier ungherese Orban e per la riforma del copyright sono in realtà due campane a morto per le istituzioni del vecchio continente. Tardive e, alla fine, controproducenti, entrambi le iniziative hanno un unico vero scopo: dare il via a una campagna elettorale che vedrà confrontarsi due modelli in declino da una parte (quello liberale e socialdemocratico) e le destre demagogiche in grande ascesa dall’altra, con pochi, esigui spazi per una proposta alternativa di sinistra. La condanna della “democrazia illiberale”, come l’ha definita lo stesso Orban, suona particolarmente stonata, non tanto perché non sia giustificata dalla politica del premier ungherese, quanto perché, ancora una volta, arriva a valle di un atteggiamento che in questi anni ha oscillato fra la cieca tolleranza e l’aperta complicità (come nel caso del leader Csu Weber, il cui voto contro Orban è da leggere in prospettiva). Viktor Orban, va ricordato, vinse le elezioni la prima volta nel 1998, per poi tornare in sella nel 2010 e confermarsi trionfalmente quest’anno. Dov’era il Parlamento Europeo, soprattutto all’inizio del secondo mandato, quando il premier ungherese cominciò a costruire mattone su mattone la sua governance autoritaria? Si è parlato molto in questi giorni dell’assenza di libertà dei media in Ungheria. Scusate l’autocitazione, ma vi propongo un breve documento realizzato insieme al collegaLuigi Politanoalla fine del 2015, quindi tre anni fa. Come vedrete la situazione era già critica, per usare un eufemismo, e nel frattempo è peggiorata, senza che nessuno sentisse il bisogno di intervenire:BUDAPEST FOG. Sul diritto d’autore si è consumata una sceneggiata ancor più triste. Lasciamo perdere i deliri del vicepremier Di Maio (forse preoccupato dal conflitto di interessi che si potrebbe innescare con la piattaforma della Casaleggio associati). La direttiva è un ridicolo tentativo di intralciare la cavalcata dei grandi player statunitensi a favore di un comparto industriale, la carta stampata, che, soprattutto in Italia, ha ben poco a che vedere con il diritto dei cittadini a essere liberamente informati. Ma soprattutto, questo anche a livello europeo, è incapace di fronteggiare la concorrenza d’oltreoceano, per mancanza di strategie e di investimenti all’altezza. Insomma come combattere un F25 con una cerbottana. Al di là delle considerazioni industriali, anche sul versante politico culturale l’approccio europeo è fuori dal tempo e in colpevole ritardo. Non affrontare temi come la proprietà e il controllo dell’algoritmo, o la ricerca sull’intelligenza artificiale (mentre il Parlamento votava Apple presentava gli smartab di seconda generazione) fa compiere all’Europa un ulteriore passo verso la totale sudditanza nei confronti del Tycoon Usa. Ammesso e non concesso che la direttiva limiti le perdite di qualche editore vecchio stampo, sarà soltanto un palliativo a un’inesorabile agonia. Ci sarebbe da sottolineare il ritardo, per non dire la totale assenza, della sinistra radicale su questi temi e la necessità di un approccio marxista moderno, ma avremo tempo mentre osserviamo il cadavere di Utopia trasportato dal fiume della Storia.