TRUMP IN ESTREMO ORIENTE, TRA CINA E RUSSIA

Finirà tra una settimana il viaggio di Trump in Estremo Oriente, ma è chiaro fin da ora che non si tratta solo di visite di cortesia. Chiarirsi con gli alleati più prossimi alla Corea del Nord (Giappone e Corea del Sud) su quali debbano essere i ruoli di ciascun partner nel caso la situazione precipiti e la mediazione della Cina non raggiunga l’obiettivo. Prendere in considerazione la possibilità che peggiorino anche le relazioni con Pechino e, in questo caso, trasformare la tenaglia contro Pyongyang in una trappola di più ampie dimensioni contro gli stessi cinesi. Nei suoi ultimi interventi Trump è sembrato ottimista, nel senso che pare riconoscere un allentamento della tensione con i nordcoreani, del quale evidentemente la Cina potrebbe rivendicare il merito. Ma se ciò non si verificasse pare anche che, in parallelo, si prepari un piano B capace di coinvolgere parte del Sud est asiatico. Procediamo con ordine. Da Tokyo a Seul Donald non ha fatto che ripetere segnali dissonanti. La trattativa prosegue, però, almeno stando ai si dice, se i giapponesi avessero buttato giù i missili nordcoreani che solcava il loro cielo, avrebbero fatto il loro dovere.E ancora: ai sudcoreani, guidati da un leader pacifista che per il Nord prevede solo sanzioni, potrebbe essere, in caso di evenienza, richiesto di fare qualcosa di più. Ivi compreso, se intendiamo bene, un ruolo da vittime sacrificali, vista la vicinanza col litigioso Kim.Gli Usa forniscono le armi, ma al resto ci pensino gli alleati: non proprio un “Armiamoci e partite”, ma, quanto meno, un “Io vi armo, ma poi partite voi”. Dopo Seul, Pechino è una tappa d’obbligo. Ma molto spazio verrà probabilmente dedicato alle questioni economiche, un ambito nel quale i successi delle esportazioni cinesi creano qualche grattacapo agli Usa. Sulla questione nordcoreana, invece, si possono più che altro ipotizzare ulteriori sollecitazioni di Trump al leader “amico” di Pechino, pena il non classificarlo più come tale. Ma le novità devono ancora venire. Il viaggio infatti non si ferma qui, prego notare le tappe successive: prima il Vietnam, in occasione del vertice Apec, con tanto di preannunciato summit con Putin; poi le Filippine, dove stanziano cinque bellicose basi navali Usa. L’abbinamento Vietnam Putin simboleggia qualcosa di conosciuto agli occhi degli esperti in materie storiche. Il Vietnam, anche quello comunista e in guerra con gli Usa, non ha mai avuto buoni rapporti con la Cina, tanto da suscitare a suo tempo un’abominevole alleanza tra la Cambogia filocinese di Pol Pot e gli Usa, ai danni della filosovietica Hanoi.Oggi potrebbe essere l’inverso. Concluso senza risultati apprezzabili il gentleman agreement tra Washington e Pechino, Donald potrebbe finalmente abbracciare Vladimir sulle propizie terre dei vietnamiti, in vista di impronunciabil avventure belliche.In questo senso la chiusura del viaggio di Trump, ultima tappa le Filippine, luogo di basi navali Usa, potrebbe costituire un altro tassello nella costruzione di un puzzle che vedrebbe gli Usa e la Russia non-nemici nei confronti di una Cina messa sotto pressione. A dispetto di tutto ciò non pare che le relazioni diplomatiche russocinesi siano contraddistinte da nubi in arrivo. A rimestare le acque ci si può sempre provare, anche se l’apprendista stregone Trump potrebbe destinare all’affondamento nella tempesta, in primo luogo, se stesso.