AMORE, SE MI UCCIDI DOPO CHI PICCHI?

AMORE, SE MI UCCIDI DOPO CHI PICCHI?

Sembra la frase tratta da un dramma psicologico, a nessuno, o quasi, verrebbe in mente di pensare ad una simile domanda, ma quel quasi è già abbastanza. Accade infatti che a Potenza, per promuovere un evento, in programma per il 13 aprile, sono stati affissi dei manifesti recanti quella frase. Il contesto assurdo per cui si mette la parola amore davanti ad un atto violento, doveva servire, secondo gli ideatori, a mostrare il contrasto tra chi subisce, amando, e chi è violento. Ed effettivamente lo spunto di riflessione non manca, le perplessità e le rimostranze, da parte di rappresentanti istituzionali e non solo, hanno preteso di cancellare l’orrore manifesto, ma ovviamente è stata scoperchiata una scatola di cui non si può ignorare il contenuto. Perché l’accanimento d’amore, se così si può definire una affezione emotiva che conduce all’auto annichilimento, è una realtà tuttora esistente, difficile da stravolgere per chi la vive, in una sorta di Sindrome di Stoccolma dove il carceriere è il cuore stesso del prigioniero. E si torna pertanto alla domanda scritta sul manifesto, in cui non è reso esplicito se il dramma sia vissuto come grottesca tragedia o, invece, se non rifletta una paura dell’abbandono da parte della stessa vittima, che percepisce la violenza, le botte e le umiliazioni come atti di amore, attenzioni. In un cortometraggio, diretto da Corrado Ardone, e visibile su internet, la stessa domanda viene posta dall’attrice Rosalia Porcaro, e probabilmente il manifesto prende le mosse principalmente dalla visione di questa breve video. A sorprendere però sono le reazioni delle persone, della maggior parte degli utenti, con commenti rivolti essenzialmente a chi picchia la propria compagna, senza considerare la parte oscura della luna, la sofferenza e l’impotenza di chi tace, non solo per paura di subire ulteriore violenza. Ed è questo forse il punto su cui ci si dovrebbe soffermare quando si parla di coraggio a chi dovrebbe denunciare i maltrattamenti e gli abusi. Così come per chi si rivolge a gruppi di ascolto in quanto etilista, bisognerebbe arrivare a concepire un aiuto anche per chi non trova la forza di spezzare un legame inscritto in un codice emozionale anomalo, alieno. Chiedere la rimozione dei cartelli affissi a Potenza è un atto dettato dall’orrore verso la crudeltà, ma negare alcune dinamiche , in certe circostanze, può contribuire a ricondurre il problema solo in termini di legge, tralasciando la parte fondamentale, quella sfera interiore chiamata anima. Ed anche in questo ricorre il paragone con chi soffre di crisi di astinenza verso una qualche sostanza, con chi non vuole lasciare il rifugio dentro cui ci si è ritrovati, incapaci di concettualizzare una differente possibilità di vita. Il limite di chi ha buoni propositi speso è dato dalla consapevolezza della propria forza, e dalla non considerazione della debolezza altrui. Ma anche rimuovendo i manifesti resterà sospesa una supplica inespressa da troppe voci: amore, ma se mi uccidi dopo a chi picchi?