CORONAVIRUS MOLISE. OGGI A CAMPOBASSO E’ TREGUA. MA LA SETTIMANA PROSSIMA SARA’ DA BRIVIDI

Per chi non lo sapesse, in questi ultimi cinque giorni, il Molise, e più precisamente la città di Campobasso, è precipitata dai cieli puliti di una regione libera dal coronavirus, alla minaccia di diventare una seconda Lombardia in piccolo. Tanto ha fatto e sta facendo ancora temere l’espandersi rapido dell’epidemia nei suoi più recenti sviluppi. Per la verità, se facciamo un passo indietro, nemmeno nelle settimane passate la situazione era stata così idilliaca come poteva apparire. A dispetto degli indicatori maggiormente utilizzati, che davano i contagi praticamente fermi ad una cifra complessiva decisamente bassa, l’indice di contagio, il famigerato R0, collocava il Molise ai livelli medio alti tra le regioni italiane. La causa, secondo gli esperti, andava probabilmente ricercata in quelli che erano stati i caratteri dell’unico focolaio di una certa gravità, verificatosi all’Ospedale di Termoli. Un caso riguardante medici e operatori sanitari, recatisi in Trentino in fase pre lockdown, in settimana bianca. Lì avevano contratto il virus sui monti della Paganella, dove “osano le aquile”, ma dove anche il covid, magari veicolato da qualche gitante del vicino bresciano, può giocare brutti scherzi. Per la cronaca un virus circolante in un ospedale corrisponde a quanto di più pericoloso si possa verificare. Quanto al concentrarsi di casi virali, numerosità e durata dei contatti tra personale e pazienti. Da qui il cattivo R0, nel ricordo di Codogno. A dire il vero però, i giorni erano passati e con essi il peggio pareva scongiurato, quando una minaccia di tipo nuovo è apparsa all’orizzonte. Tutto parve partire dai funerali di un rom, a Campobasso. Coloro, tutti membri di quella comunità, che vi avevano partecipato, apparvero ben presto affetti in massa dal virus. Prevalentemente nella sua forma meno grave, ma più insidiosa dal punto di vista dei contagi, quella asintomatica. Come si erano svolti i fatti? Abbiamo provato a ricostruirli interpellando testimoni che ci garantivano una maggiore dose di affidabilità. Innanzitutto, come sempre in questi casi, tutto era partito dalla paziente 1. Una rom, pare, col padre all’Ospedale Sacco di Milano. Facile ipotizzare che da lì fosse partito tutto, ma non dimostrabile, tanto più dopo il decesso del genitore. E in fin dei conti irrilevante per il contrasto dell’epidemia. Resta il fatto che sembra più probabile un contagio avvenuto in seguito al contatto della donna con alcuni rom abruzzesi ritenuti positivi. Dopo di che la scena si sposta a Campobasso. I funerali, benché all’aperto, sono apparsi in un primo momento come il luogo da cui tutto ebbe inizio. E’ possibile. Però le foto mostrano una certa imprudenza, ma non proprio una calca dei partecipanti, peraltro in numero abbastanza limitato. Certo la comunità rom è ritenuta non essere particolarmente ligia alle regole del distanziamento sociale. Ma allora diventa più probabile che il punto di partenza sia costituito da qualche evento svoltosi in luogo chiuso, come la veglia funebre o l’ultimo saluto riservato al malato terminale. Nel nome di un’appartenenza, sintomo di fratellanza indissolubile, ma ahimé dalle conseguenze tragiche. A prescindere dalle premesse, rivediamo i fatti che ne sono derivati. A Campobasso (provincia con 225mila abitanti e 228 casi dall’inizio dell’epidemia) si sono susseguiti ben 82 casi di covid in cinque giorni, dei quali sicuramente 73 sono stati individuati nella comunità rom. Pensate, per rendere l’idea, cosa sarebbe successo se, in proporzione, in un giorno ci fossero stati, a Milano, 400 casi concentrati nella comunità cinese. Aggiungete che, a differenza di quanto avvenuto in Lombardia, la progressione a Campobasso si è manifestata dalla sera alla mattina, e capirete i timori più che giustificati della popolazione. Anche perché, fintanto che si trattava di testare la sola comunità zingara, l’opera di tracciamento dei positivi poteva ritenersi relativamente semplice. Ma difficoltà ben maggiori si presenterebbero se i rom, notoriamente nomadi e dunque ad alta mobilità, avessero contribuito involontariamente a diffondere sul territorio l’infezione, spostandosi nel quartiere, in città e fuori città nei giorni a seguire. Dopo 4 giorni di tempesta virale le cifre dei contagi registrati oggi paiono dare un minimo di tregua. 3 contagiati, di cui pare un solo rom o due, dopo una serie di 23, 20, 23, e 13 casi quotidiani nei giorni precedenti. Illudersi però che il peggio sia passato e abbassare òa guardia sarebbe pericoloso. Non a caso (ultimo aggiornamento), nella giornata di mercoledì sono stati registrati ancora 15 nuovi casi nella provincia di Campobasso. Considerati i tempi di incubazione del virus; la percezione che ne possono avere, non sempre, gli infetti; i tempi tenici della effettuazione e della refertazione dei tamponi, è opportuno ricordare che bisognerà ancora attendere almeno una settimana per capire se lo tsunami è passato lasciao tndracce relativamente contenute o se ci troveremo invece nell’occhio del ciclone. Con un’infezione che non solo metterebbe sul tappeto la comunità rom, ma che potrebbe espandersi in forme imprevedibili su larga parte del territorio molisano. Questa sera, visti i dati di oggi, Campobasso e i suoi abitanti, che siano o non siano rom, martedì hanno preso fiato. Ma la prossima sarà una settimana da vivere col batticuore.