ERO ALLO SKATEPARK DE BERCY, QUANDO HO RICEVUTO LA TELEFONATA
C’era il sole, due conoscenti provavano ad insegnarmi a disegnare i graffiti sull’unico muro dove a Parigi è legale farlo. Non capivo niente di tutti quegli spray colorati, come si fa a fare una riga dritta ? Ma il telefono suona: “Senti, tuo papà ha avuto un improvviso ematoma cerebrale gravissimo qui a Tunisi. Stiamo cercando di fermarlo con alcuni farmaci, per evitare in tutti i modi l’operazione. Sarebbe troppo rischiosa, soprattutto per il cuore”. ***E’ notte, nell’atrio della rianimazione dell’ospedale di Tunisi fa freddo. Sono da ore nell’abisso. Le lacrime non hanno smesso di scendere da quando ho ricevuto quella chiamata: la corsa in aeroporto, l’arrivo all’ospedale in Tunisia. Mentre ero in volo hanno cominciato ad operare il mio papà.Mi inginocchio e prego per la prima volta nella mia vita. Lì, nel centro di quella stanza azzurra, spoglia, silenziosa. Do del “lei” a Dio, con cui non ho confidenza. Gli faccio presente che il mio papà ha ancora troppo da insegnare. Non solo a me, a tutti. Gli assicuro (a Dio) che non è certo il momento di portarlo via. Lo imploro, perchè di un papà c’è proprio bisogno. Una sofferenza cosi io non l’avevo mai provata. Mai, neanche quando se ne è andata mia mamma di tumore. Li c’era stato, per lo meno, “il tempo”. Sono ancora in ginocchio a pregare, nello stanzino. Si aprono le porte automatiche del blocco operatorio. Esce una donna tunisina con i capelli lunghi e il camice verde, sconvolta. Ma tiene in mano un sacchetto con dentro una palla di sangue, grumo e liquido rosso. Abbozza un sorriso. “Questo ematoma cerebrale era molto grosso. Molto”, dice in francese. e poi “Les 48 prochaines heures seront critiques, mais l’opération elle-même s’est miraculeusement bien déroulée”.La bacio, l’abbraccio. Lei si ritrae un po’. Forse in Tunisia non sono cosi calorosi. Mi fa capire che un primo tassello è compiuto, ma c’è sempre pericolo di vita. “Je suis lá”, rassicura. “Avec vous”.Quella neurochirurga che aveva passato tutto il giorno con mio papà tra tentativi e corse contro il tempo per trovare a Tunisi le medicine, ha preso una decisione pazzesca, in pochi minuti – di operarlo nonostante tutto, con quella emorragia che non si fermava. Era l’unica possibilità di salvarlo. Lei ha rischiato – con coraggio, con professionalità estrema, con umanità. Sono orgogliosa per lei, orgogliosa di appartenere al genere femminile. Nei difficilissimi giorni seguenti abbiamo fatto un po’ amicizia. Ha due figli, ha studiato a Parigi. E’ molto seria, ma a volte si lascia andare ad un sorriso contagioso.Oggi ripartiamo per l’Italia, su un volo medico speciale. Papà è in netta ripresa, per ora parla una lingua strana ma nel giro di un mese massimo assicurano che tornerà come prima. Lo dice la dottoressa Sana Omezine, e io ormai mi fido. Non fosse stato per lei (e per il cardiologo eccezionale che conosce mio papa da vent’anni e da Milano, di giorno e di notte, ci dava tutte le indicazioni sulla terapia da modulare via via), sarebbe finita diversamente.Non faccio la doccia e non dormo da sei giorni, ma l’Italia è vicina. Ritorno da Tunisi con il mio papà sano salvo e senza alcun danno, e una nuova amica nel cuore. ***POST SCRIPTUMUna persona cui ho voluto molto bene, tempo fa mi strigliava: “Andreis, ma basta aggiornare con tutte queste foto in tempo reale! Tu invece accumula, seleziona. e poi, quando ci vediamo, ci diciamo quello che vale la pena sapere”. E’ una lezione che cerco di seguire anche oggi. Qui a Tunisi ho vissuto emozioni fortissime. Ci provo, a tenermele dentro. La prima notte – quando mi hanno chiesto di svegliare papà in rianimazione, e per farlo gli ho cantato una delle musiche che suona sempre insieme ai suoi amici, e lui ha sorriso; le sue cazziate con la benda in testa, dal letto di ospedale, se non rispondiamo giusto alle sue domande (ma in quella strana lingua che parla adesso non si capisce un’ostia! “senti papà, ci vuole qualche settimana poi ricominci a parlare normale!!” … e lui impaziente, che comprende assolutamente tutto e sbuffa); il messaggio di mio fratello alla fine di tutte queste giornate; l’aiuto incredibile di due tunisini e di una ragazza dell’ambasciata.“Andreis, smettila di raccontare!” – mi sembra di sentirla, quella persona che mi striglia. Eppure deve essere proprio la mia indole, tirar fuori per iscritto le emozioni, anche con le foto.Vado, và. mi imbarco sul volo di ritorno, con il papà sano salvo e in ripresa, e questa frase in testa: “Potrei vivere nel guscio di una noce, e sentirmi Re di uno spazio infinito”.
