È L’UMANITÀ CHE AVANZA

Sono le 19, esco a fatica dal 40, mi butto in strada cercando le strisce per attraversare e una vocina inquieta mi chiede “dove tram?”. Non ci penso a spiegarglielo, vado a prenderlo anche io e le dico venga con me piccola signora indiana con gli occhi rossi e l’ansia nella voce. Capisco che ha fretta, più di me che devo solo trovare il supermercato aperto per condire meglio la cena.Alzo il passo, lei mi chiede scusa perché non riesce ad essere più veloce di così e ha paura quando attraversiamo piazza Venezia sulle strisce: le macchine e, soprattutto, le moto corrono schivandoci come birilli.Prendiamo l’8 insieme, pochi secondi prima che partisse. Per lei quei minuti recuperati sono una mezza salvezza, deve infatti prendere servizio da lì a poco presso una signora anziana malata di Alzheimer che si lamenterà per tutta la notte impedendole di chiudere occhio. Ma nonostante questo lei dice “poverina”. Nonostante abbia attraversato la città, non sia riuscita a riposare dalla notte precedente e le si prospettasse un’altra notte in bianco… Lei però si dispiace. Non devono nemmeno pagarla un granché anche se le fanno il contratto che la tiene regolare, nonostante tutto.Non riesce ad andare a casa da 6 anni, mi dice, dove ha marito e due figli. Sempre di corsa per mantenere lavoro e contratto, sempre in corsa, sempre senza qualcuno con cui sfogarsi.Capisco che quella chiacchiera a cui mi sono dedicata, quella minima empatia che ho cercato di trasmetterle sono per lei uno dei primi segnali di relazione umana in questa città.E pensare che è qui da sei anni e non può mollare, perché se non lavora non ha il passaporto e se lavora non può partire.Non so nemmeno come si chiama, so di non averglielo chiesto per paura, paura di non aver saputo che dire a quella donna, di non averle potuto dare di più che quell’attenzione momentanea, paura di doverle spiegare che in questol paese c’è qualcuno che pensa che il problema sia lei, che per lavorare non può vivere e che per vivere deve lavorare, che per lavorare non può partire e che per partire non può lavorare, che per lavorare deve fare due ore di viaggio in una città ostile in cui è raro che qualcuno si fermi a parlare con te, si interessi di te, si commuova con te. Ho paura di quello che stiamo diventando, o forse quello che siamo. Fortunati e umani. Ricordiamocelo.La Pietas, come la intendevano gli antichi greci, non è qualcosa di cui vergognarsi, è l’umanità che avanza.