QUEL 25 APRILE CHE AVEVA IL SAPORE DI UNA PASQUA
Il 25 aprile zio Umbertino era una pasqua.«Oggi si arroste tutto», proclamava urlando a tutto il quartiere. Si impossessava della strada parcheggiando la 500 di traverso, apriva il sacco di carbonella, cominciava a gestire la griglia. Grigliava dalle 7 del mattino a notte fondissima.«Grigliato, tutto è bellissimo», affermava con una serietà che non ammetteva rughe all’angolo delle labbra.«Ziò», gli chiesi piccirìddo, «Perché si festeggia il 25 aprile?».Zio Umbertino sollevò lo sguardo dalle braci. Stava lavorando le stigghiòle e la sasizza.«Davidù, il vero motivo del 25 aprile è che ognuno può fare oggi -come ieri, come rumàni- tutto chìddo che vuole. Vuoi festeggiare ch’i palle a mare? ‘U fai. Vuoi festeggiare ch’i mutànne tricolore? Ti ‘i metti. Vuoi festeggiare cu gli arrusi, ch’i catanìsi, ch’i parrini, ch’i lapardei? Festeggi con chi vuoi tu. Ti nni vuoi stare chiuso a casa a minaritìlla? T’a mini e nùddu ca ti dice niente. Capisti? Sei libero. E questo grazie al 25 aprile. Che è San Marco. È un cinque per cinque, un Santo che aveva ‘u liùne come armàlo, mica bestie lagnuse come i capre. ‘U liune. Cose di rompere vero.»Poi si girava, pigliava dalla brace la stigghiola con le mani, la tagliuliàva col coteddàzzo e me ne cafuddava un pezzo in bocca dopo avergli sparso su il sale e il limone. Il fumo saliva come un dono al cielo, l’arrostuta continuava e Palermo tutta era un po’ più felice e un po’ libera ogni 25 aprile.
