MILANO, TAVOLINI DA BAR CHE SI ESPANDONO E AREE PEDONALI CHE SI MOLTIPLICANO?

MILANO, TAVOLINI DA BAR CHE SI ESPANDONO E AREE PEDONALI CHE SI MOLTIPLICANO?

Bar, locali e ristorantia cielo aperto si allargano a costo zero sul suolo pubblico. Con i tavolini (rigorosamente a distanza di due metri uno dall’altro) occupano piazze, marciapiedi e strade togliendo spazio alle auto in sosta e moltiplicando di fatto le aree pedonali. Lo scenario potrebbe avverarsi: gli esercizi commerciali a corto di liquidità e incassi prendono in parola il sindaco Beppe Sala che ha promesso di sospendere ogni tassa sull’occupazione del suolo comunale. Chiedono però di rafforzare la proposta. Dicono che così non basta. Attacca Lino Stoppani presidente di Fipe, l’associazione di Confcommercio: «Serve una manovra decisa e completa, la città si è svuotata di turisti e i locali che riapriranno a giugno rischiano un crollo di lavoro». Il segretario Carlo Squeri dettaglia: «La tassa di occupazione del suolo pubblico annuale per tutto il 2020 non dovrebbe essere riscossa a prescindere dallo spazio esterno aggiuntivo, e questa è la base. Bisogna poi annullare temporaneamente i vincoli della Soprintendenza locale e nazionale, e in questo senso il ministro per i Beni e le attività culturali Dario Franceschini si è espresso a favore. Ma poi la Ats dovrebbe eliminare le disposizioni in materia di arredo che impongono ad esempio un ombrellone per ogni tavolino. Ancora, per i plateatici dovrebbero essere completamente dimenticate le autorizzazioni: ora l’iter per i dehors (intesi come strutture rigide all’esterno) dura almeno 40 giorni, arriveremmo a metà giugno: e intanto gli esercizi commerciali cosa fanno? Infine c’è il tema cruciale della sicurezza».Delle due una, continua Squeri: o la possibilità di allargare ad libitum i plateatici rimane solo teorica, oppure bisogna dare corso a nuove aree pedonali con accesso facile e sicuro dalle vie laterali («le ambulanze, per dirne una, non possono certo essere intralciate dai tavolini… »). Possibilista Luciano Sbraga, direttore ufficio studi di Fipe: «Ci sono aree, come i Navigli, dove i locali occupano già tutto lo spazio compatibile con la sicurezza e altre dove l’idea del suolo pubblico da occupare gratis con servizio ai tavoli fuori potrebbe fare davvero la differenza. E non penso solo a piazzetta San Fedele o a corso Vittorio Emanuele, ma anche ad alcune zone di periferia”, si sbilancia. Il settore versa in una situazione economica che gli operatori definiscono drammatica. A quando la ripresa? Da lunedì 4 maggio, in nome della Fase 2, gli esercizi possono servire, oltre ai prodotti per le consegne a domicilio, anche quelli per il take away – da dare quindi direttamente ai clienti. Si sono attrezzati. Via tutte le sedie dalle salette interne, allora. E poi guidalinee all’ingresso come in aeroporto, percorsi differenziati per l’entrata e l’uscita, segnaletica sul pavimento. Alcuni, come il Gaga Caffè di via Giulini, in vista della riapertura in giugno anche dei posti a sedere, hanno già montato addirittura pannelli di plexiglass tra un tavolo e l’altro. Molti usano un banchetto che fa da transenna: i clienti rimangono fuori e loro servono così. I cittadini salutano il ritorno degli esercenti di quartiere e di storici ristoranti come il Matarel di corso Garibaldi o Vòce di Aimo e Nadia in piazza della Scala – ma nei primi giorni un esercizio su due, anche in centro, ha preferito invece tenere chiuso. Mercoledì all’Arco della Pace una decina di ristoratori hanno protestato con un flash mob (peraltro sanzionato in quanto «assembramento non consentito»). Su 7 mila esercizi pubblici della città, si teme che duemila non riusciranno ad aprire più. Non solo. I locali rischiano, una volta riaperti, di rimanere senza clienti. Dal primo giugno si stima una perdita di fatturato del 70 per cento. «Una attività commerciale su due ha fatto domanda per la cassa integrazione ma il 95 per cento di queste non abbiano ancora ricevuto nulla», aggiunge ancora Marco Barbieri, segretario generale di Unione Confcommercio Milano Lodi Monza Brianza. Otto locali su dieci sarebbero pronti a garantire le misure di sicurezza richieste ma sono convinti che i conti non torneranno: «Per il 92 per cento delle imprese c’è sproporzione assoluta tra il danno economico subito con il lockdown e le risorse finora stanziate».