ABBIAMO RICONOSCIUTO IL SUO BEL SORRISO, NON CI IMPORTAVA ALTRO
“Quando l’abbiamo vista abbiamo riconosciuto il suo bel sorriso. non ci importava altro”. ***“Lei è tornata. Io sono felice. Sono contenta che sia arrivata sorridendo. Cara Silvia, il verde mi piace da matti, sii quello che sceglierai di essere”. Francesca ha tre anni più di Silvia Romano e in quell’autunno del 2018 erano insieme a Chakama. Quattro cooperanti italiani, “poker”. Tre sono tornati in Italia appena prima del rapimento mentre Silvia, capo progetto, era rimasta al villaggio per aspettare i nuovi volontari che dovevano arrivare. Giorni fatali in cui il sequestro è stato ordito e messo in atto. Un brivido scuote Francesca ma è anche coraggio, non solo paura. A quelli che oggi la insultano, gli amici hanno qualcosa da dire. “Avete in testa uno schema semplificato e binario dove bianco è bene, nero è male, e grigio non interessa. Volevate scendesse dall’aereo come ve la eravate immaginata voi, emaciata, piangente, fiaccata nel corpo dall’aguzzino e nell’anima dal senso di colpa perché come Icaro aveva preteso troppo dalle sue possibilità? Volevate chiederle cosa ti è saltato in mente, chi te lo ha fatto fare di andare ad aiutare dall’altra parte del mondo? Tutto le avreste se il cappuccio fosse stato grigio cenere e gli occhi tremolanti di lacrime cariche di senso di colpa? – riflette Francesca -. Basta, adesso. Basta odio, facciano silenzio”. Hanno studiato tanto per occuparsi di infanzia e cooperazione internazionale, sono ragazzi e ragazze responsabili, “in Africa volevamo costruirci un pezzo di esperienza per un futuro anche lavorativo”. A Silvia è successo l’inimmaginabile, per un anno e mezzo. Vedere adesso che finalmente è tornata questo clima intorno a lei riempie di rabbia e amarezza, “io spero che venga denunciato chi insulta e si permette di giudicare”. Francesca si tiene lontana dalle polemiche. Sulla onlus Africa Milele che li aveva reclutati e portati nel cuore dell’Africa si limita a dire: “Quando c’ero io eravamo in tanti, la magistratura farà le indagini”. Anche sul velo e la conversione dichiarata dall’amica usa parole caute e rispettose: lì dove l’avevano segregata, l’Islam era l’unico credo cui poteva appigliarsi per sopravvivere. “Nessuno conosce il contesto in cui è maturata l’idea, io so solo che quando l’abbiamo vista in televisione abbiamo riconosciuto il suo bel sorriso e per un attimo è sembrato lo stesso di quando a settembre festeggiavamo i suoi 23 anni a Chakama con la torta e gli applausi. Non ci importava altro”. Dopo il primo mese devastante di prigionia, Silvia ha cercato di reagire. “Avrà fatto leva sulle le risorse e lo spirito di adattamento che ha in corpo. Ora che è tornata libera di scegliere, diventerà la donna che vuole. Ci vorrà pazienza ma sarà più forte di tutto. Ha ben altro cui pensare che a quattro hater da tastiera, ha bisogno di tempo e tranquillità per elaborare tutto quello che ha dentro”. A Chakama ci sono una casa per i volontari, di mattoni, tutto il resto capanne, il sentiero sterrato, il fiume dove i volontari portavano i bambini a fare il bagno al tramonto, e verso sera canti, buio e silenzio. Memorie che resteranno comuni. “Qualunque sarà il percorso interiore di Silvia, la ritroveremo”. Bentornata compagna, bentornata amica, dice Francesca. Ai suoi amici (e a tutti noi) è mancata per 535 giorni. Chi da a questi ragazzi degli irresponsabili, “non ha capito niente”.