LA CINA E L’INVASIONE DEI NOSTRI MERCATI
La Cina ha 1 miliardo 386 milioni di abitanti, ed è sulla carta la seconda potenza industriale al mondo: dico sulla carta perché a furia di dazi e sfuriate, l’America di Trump si sta rapidamente alienando intere sfere di influenze anche commerciali, dal sud est asiatico al medioriente all’Africa, lasciando praterie politico commerciali ai cinesi. L’Italia ha 60 milioni di abitanti, un debito pubblico del 132%, una crescita economica dello 0,1% nell’anno del boom ( proiezione dell’altro giorno di Fitch). Fare affari è ovviamente molto positivo, ma quale potere di contrattazione esiste fra questi due partner appare lampante, a volerla vedere senza demagogia o peggio ancora con l’euforia dell’indebitato a cui lo strozzino ha appena fatto un prestito. L’unico modo per stare sui mercati mondiali senza esserne fagocitati è competere all’interno della Unione Europea, mezzo miliardo di abitanti, dopo gli USA primaria potenza economica e per know-how: lo sa bene la Cina, che infatti ha incuneato un memorandum e vari accordi diretti con uno dei Paesi fondatori proprio per stringere al collo dell’Unione la cravatta che entusiasticamente abbiamo appena indossato. La Cina sa bene che in Europa vige la regola della unanimità sui rapporti internazionali: già ha avuto un certo tornaconto col ricatto alla Grecia attraverso l’asset del Pireo, quel Paese ha iniziato a fare la quinta colonna cinese all’interno della UE: e come potrebbe sottrarsi, avendogli venduto il principale porto del Paese? Divide et impera, dicevano gli antichi romani, e ad Est la lezione l’hanno imparata benissimo. Noi ci illudiamo che il Presidente cinese vada a Palermo per organizzare i voli per esportare le arance, che è come vendere ghiaccioli agli eschimesi dato che la Cina è il primo produttore al mondo di agrumi e noi, per fare i succhi di frutta, le arance le importiamo dal Brasile, che non ne abbiamo a sufficienza. Il Presidente cinese molto più probabilmente voleva vedere coi suoi occhi la piattaforma di collegamento tra le basi che ha comprato in Siria e l’Europa: questo per i cinesi è la Sicilia, un avamposto, uno scalo tecnico. E presto ce ne accorgeremo, quando i nostri mercati saranno invasi ancor di più dalla loro mercanzia a prezzi stracciati, le nostre residue fabbriche manifatturiere chiuderanno perché nessuno comprerà quei prodotti che ovviamente costano di più non vigendo da noi lo schiavismo, o quando il ministro del tesoro di Pechino telefonerà al nostro chiedendo cosa fare con qualche miliardo di debito pubblico che contenti noi loro compreranno: sarà un’altra arma di ricatto che li abbiamo pregati di puntare contro di noi.
