“POLLINO”, IL MINIATORE CHE PENSAVA IN GRANDE CIÒ CHE DOVEVA ESSERE PICCOLO

“POLLINO”, IL MINIATORE CHE PENSAVA IN GRANDE CIÒ CHE DOVEVA ESSERE PICCOLO

L’Italia il paese al mondo che ha meno bisogno di mostre d’arte è quello che ne organizza di più. Per questo ogni volta che leggo di qualche mostra storco il naso, perché la stragrande maggioranza delle mostre organizzate in Italia sono inutili; non fanno bene alle opere spostate, spesso le considerano figurine da scambiare; servono pochissimo alla cultura e ai cittadini moltissimo a curatori, a chi stampa il catalogo, a chi ci scrive. Insomma le mostre dovrebbero essere poche, e soprattutto belle e necessarie mettendo a confronto opere mai messe prima, indicando nuovi percorsi, aprendo squarci su autori sconosciuti ai più. Come fa “Atomi e nuvole. Le miniature di Cesare Franchi detto il Pollino”. la mostra allaGalleria Nazionale dell’Umbria(aperta il 13 aprile chiuderà il al 9 giugno 2019) che praticamente riunisce tutta la produzione miniaturistica del Pollino fino ad ora conosciuta. Entrando la prima cosa che mi sono detto è stata “caspita!”. Mi aspettavo le solite miniature compendiare dove forma e colore sono ridotti all’essenziale, invece ho visto disegni così complessi e affollati di figure da sembrare copie di grandi affreschi o pale d’altare. Impressiona come questo pittore riuscisse a pensare in grande cose che dovevano essere piccole e come fosse aggiornato sulla temperie artistica del suo tempo, perché Cesare Franchi è un artista della maniera e lo si vede dai suoi riferimenti: il Pontormo “nordico”; Giulio Romano; soprattutto Federico Barocci sia nel movimento dei personaggi che nei colori cangianti. Pollino venne condannato a morte per aver ucciso una persona mascherata durante carnevale, per salvarlo intercederono verso papa Clemente VIII i Priori di Perugia e, a prova che la sua fama non era solo perugina, raccolsero firme per evitargli la morte i più importanti miniaturisti romani. Fu inutile e il 20 febbraio 1595 venne giustiziato di fianco alla Fontana Maggiore di Perugia. Aveva quarant’anni. Uscendo ho pensato a quanto avrebbe potuto ancora produrre e, colpevolmente schierato dalla parte dell’assassino e non della vittima, mi sono detto “peccato!”.