VITTIME DI ‘NDRANGHETA SCRIVONO AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
Poco più di un anno è trascorso da quel 9 aprile 2018 quando l’autovettura di Matteo Vinci si disintegrava come cartapesta, dilaniando il corpo del giovane guidatore e riducendo in fin di vita suo padre dentro l’abitacolo con lui. Limbadi, piccolo centro in provincia di Vibo Valentia come Capaci. La Vita accartocciata dentro lamiera. Spenta. Le indagini furono rapide, micidiali e si orientarono subito verso il clan dei Mancuso, cosca egemone nella zona. Il movente che sarebbe emerso dalle indagini, come riportato da tutti i giornali dell’ epoca, sarebbe stato rinvenuto nel rifiuto dei Vinci di cedere i loro appezzamenti di terreno al clan. Una escalation di avvertimenti, vere e proprie minacce, approcci violenti, fino a giungere, dopo l’ ennesimo rifiuto opposto dalla famiglia, alla punizione estrema ed esemplare. Tale venne ritenuta dallo stesso Procuratore Capo di Catanzaro, Nicola Gratteri secondo il quale il gesto eclatante di quella morte ” spettacolare” avrebbe dovuto intimidire tutto il paesino e coloro che, sull’esempio dei Vinci, avrebbero voluto rialzare la testa. Qualche mese dopo l’efferato delitto i presunti assassini e i presunti mandanti venivano tratti in arresto. Tutti Mancuso o affiliati sui quali sin dal primo momento inquirenti e madre della vittima avevano puntato il dito. A incastrare la matriarca Rosaria Mancuso e i suoi familiari sarebbero state le intercettazioni telefoniche e ambientali che avevano confermato i sospetti degli investigatori sul quadro in cui era maturato l’omicidio. La madre di Matteo aveva squarciato il muro di omertà e gli imputati sarebbero andati a processo. In questi giorni avrebbe dovuto avere luogo l’udienza preliminare. Ma una notifica a una imputata, Lucia Di Grillo, figlia di Rosaria Mancuso, non sarebbe stata effettuata. Il Gup avrebbe,quindi, rinviato il processo a fine giugno, ma i termini di custodia cautelare scadrebbero il 26 giugno e se la notifica non venisse fatta entro l’11 giugno all’imputata il processo si vanificherebbe. Così i genitori di Matteo Vinci, per il tramite del loro legale, avrebbero inoltrato una missiva al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede affinché garantisca la corretta notifica della richiesta di rinvio a giudizio a tutti gli imputati. ” Qui si gioca la faccia e la reputazione, sua e della Repubblica”,( cfr. Calabria 7)conclude la missiva. Dopo le ultime “sviste” procedurali, come il mancato deposito nei termini delle motivazioni della sentenza che hanno consentito alla primula rossa del banditismo sardo, Graziano Mesina, di tornare in libertà per decorrenza della misura cautelare, la famiglia Vinci teme per la sua incolumità e per le sorti del processo. Davvero lo Stato si gioca qui e adesso la sua reputazione.
