IL GRANDE SALTO. TIRABASSI E MEMPHIS RAPINATORI BEFFATI DAL DESTINO

IL GRANDE SALTO. TIRABASSI E MEMPHIS RAPINATORI BEFFATI DAL DESTINO

Non conosco affatto Roma, per cui non posso discettare sui quattro quarti di romanità del film di Giorgio Tirabassi, né sdottoreggiare come il solito milanese che crede di stare a New York e tratta la Capitale come se fosse Nashville. Posso dire però di trovare neIl grande saltopezzi di Vanzina e citazioni daUccellacci e uccelliniaddirittura amalgamati, e di cogliere il tono di fondo grottesco, disperato con nonchalance, di questo interessante, appassionante film picaresco, costruito con pazienza nel ritmo, sulle parole come sui silenzi. Data la premessa, la storia dei criminali da strapazzo – Tirabassi stesso, appena uscito di galera, e Ricky Memphis, idem, con cui studia colpi improbabili -, in un crescendo di sfighe che fanno sospettare ai due addirittura un disegno celeste, un destino negativo da correggere con un pellegrinaggio, è un rosario di episodi con retrogusto sempre più amaro; e il tutto si apre su un finale che travalica iltwo buddies movieche credevamo di vedere e ci ha portato a spasso prendendoci di sovente in contropiede. Il grande saltoè un film che poggia su ottimi interpreti, sulla maschera e sullo zoppicare di Tirabassi, sull’insicurezza volitiva di Memphis, sul realismo a pezzi della moglie Roberta Mattei, sulla durezza impiegatizia del suocero-capofamiglia Gianfelice Imparato.Cameidi lusso di Lillo, Valerio Mastandrea e Marco Giallini, versione drop out, cui tocca la battuta migliore: ‘Io in difficoltà? Ma sto’ da favola’. Noto solo a latere e per un dovere di cronaca che l’embargo, cioè il divieto di parlare del film a chi l’ha visto in anteprima, non è stato ancorato a qualche esclusiva o ragione commerciale, ma semplicemente al funerale di un amico, il fotografo del cinema Pietro Coccia.