L’IMPERO TELEVISIVO SU CUI NON TRAMONTA MAI IL SOLE.

L’IMPERO TELEVISIVO SU CUI NON TRAMONTA MAI IL SOLE.

Di tanto in tanto capita di leggere delle notizie, così per caso. Come ebbi modo di dire, la latitanza (breve) di Fabrizio Corona ha avuto echi immensi, neanche fosse la caccia ad Osama Bin Laden per i monti cavernosi dell’ Afghanistan, come se fosse una cosa vitale per il popolo italiano. E poi ci sono notizie che passano alla chetichella, con trascuratezza. E spesso sono le notizie bomba, quelle con gli effetti più devastanti. Oggi è stata ufficializzata la cessione del gruppo televisivo La7 (con esclusione dell’ emittente MTV, titolare di vincoli e limiti data la sua appartenenza ad un gruppo internazionale) dalla Telecom Italia di Marco Tronchetti Provera all’ imprenditore torinese Urbano Cairo. E’ molto bizzarra come operazione: al prezzo di un milione di euro pagati e con la rinuncia, da parte della ex casa madre Telecom Italia a 100 milioni di euro di crediti finanziari vari regolarmente iscritti a bilancio, viene comprato un network televisivo (compresi i diritti di utilizzo delle frequenze intestati ad una società terza, la Telecom Italia Media Broadcasting con contratto di durata pluriennale) che, tramite queste operazioni di cessione e rinunzia di crediti vantati risulta completamente risanata e ricapitalizzata con una posizione finanziaria netta positiva di almeno 88 milioni e un patrimonio netto di 138 milioni. Spendo un milione di euro, l’ ex padrone rinuncia a 100 milioni di euro di suoi crediti e compro un gruppo di imprese sano e ricapitalizzato del valore di 138 milioni di euro? Questo è incredibile, è l’ affare della vita: mi dispiace solo di non averlo saputo prima, perchè con una colletta tra amici e parenti (un milione di euro non è una cifra altissima) avrei potuto comprare il terzo polo televisivo italiano dopo Rai e Gruppo Mediaset diventando il Berlusconi del futuro. Oppure no, perchè altra gente tempestivamente informata (la famiglia Della Valle, ricchi imprenditori) non ha potuto di fatto partecipare alla vendita, essendo state sistematicamente rifiutate tutte le loro proposte di acquisto, incondizionatamente e senza nemmeno un esame adeguato. Un giovane imprenditore, neanche uno dei più ricchi di Italia, compra per un tozzo di pane raffermo il terzo network televisivo italiano con un valore reale iperbolicamente più alto di quello di acquisto, senza nemmeno aver sudato a contrattare: non capisco, e quando non capisco mi arrabbio, e quando mi arrabbio mi viene un mal di testa che nemmeno le gocce  mi fanno passare. Debbo trovare una soluzione: come diceva un mio caro vecchio amico, “se un pensiero è troppo grande per il tuo cervello, scomponilo in tanti piccoli pensierini, dai loro risposta e vedrai, tutto ti sarà chiaro”. Pensierino semplice numero uno: cos’ è “La7”? La7 nasce nel lontano 1974 come Telemontecarlo, ovvero un canale in lingua italiana della televisione del principato di Monaco, già titolare di un suo canale in lingua straniera.E questo suo essere televisione estera di proprietà estera (verrà poi acquistata dal network brasiliano Rede Globo) contribuisce a tenerla al di fuori di giochi di potere e trame che in Italia, a quei tempi, muovevano ingenti capitali investiti nel nuovo mercato della televisione privata locale; con operazioni finanziarie e legali come la famosa legge Mammì, che in deroga alla normativa previgente e a quella europea, permetteva ad uno stesso soggetto di detenere ben tre reti televisive a copertura nazionale, diritto che fino al quel momento spettava solo al canale pubblico Rai. Operazioni finanziarie: ingenti flussi di capitali e ingenti operazioni fiscali, come i canoni di concessione delle frequenze televisive. Lo stato  italiano, per il tramite del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni concedeva a se stesso (i canali televisivi nazionali del gruppo RAI) l’ utilizzo delle frequenze radiotelevisive ad un prezzo del 185% superiore a quanto veniva richiesto al gruppo Mediaset, al quale venivano concesso l’ utilizzo delle frequenze radiotelevisive ad un costo del 35% di quanto richiesto dallo stato a se stesso. Delirio: come dire vendere a un prezzo più caro a parenti e famigliari che agli estranei. Passa di proprietà: Telemontecarlo viene acquisita da Montedison e, nel 1995, il definitivo salto di qualità con l’ acquisizione da parte del gruppo Cecchi Gori che le affiancano un secondo canale televisivo, Videomusic, canale tematico che trasmette solo musica e programmi a tema musicale. Nel 2000, a seguito del discutibile fallimento (discutibile nella maniera in cui fu condotto e dichiarato) del gruppo Cecchi Gori, Telemontecarlo veniva comprata da Telecom Italia, appena privatizzata e diretta dal manager Roberto Colannino. Nel 2001 la svolta: Videomusic si internazionalizza e inizia a trasmettere con il marchio MTV, il network mondiale della musica in televisione e Telemontecarlo assume il nome di “La7” Dilaga il berlusconismo, e mentre le reti Mediaset si chiudono a tutti coloro che non sono in linea col pensiero della proprietà e la Rai, su cui le lunghe mani del potere agiscono mettendo alla porta Michele Santoro, Enzo Biagi e Daniele Luttazzi col famoso “editto bulgaro”, La7 diventa una piccola isola felice in cui i profughi degli altri canali riescono ancora a fare programmi televisivi non troppo influenzati dalle “veline”  del regime. Transitano grandi nomi di tutti i colori politici, da Fabio Fazio a Luciana Litizzetto, da Giuliano Ferrara a Piero Chiambretti, da Gad Lerner a Daria Bignardi, da Maurizio Crozza a Victoria Cabello con programmi che hanno fatto storia (Omnibus, Otto e Mezzo, Le invasioni barbariche tanto per citarne alcuni). In un contesto abbastanza libero: unica eccezione Decameron di Daniele Luttazzi, chiuso anticipatamente a seguito di un reclamo: alla puntata del 1° dicembre 2007, in uno schetch, il conduttore fece humour non gradito nei confronti di alcuni politici e di un collega (Giuliano Ferrara) che ne chiese la testa. Ma, tutto sommato e malgrado i normali incidenti di percorso che possono succedere in 12 anni di trasmissione, una televisione libera da pressanti censure e direttive politiche che invece avevano già segnato le altre emittenti televisive italiane. Risposta al pensierino uno: parafrasando Peter Pan, questa è la “televisione che non c’è”: un canale talvolta scomodo che sarebbe bene censurare e castrare in certa sua informazione troppo libera dai diktat del potere. Pensierino numero due: chi la compra? Urbano Cairo: imprenditore  cinquantaseienne che ha iniziato con una carriera velocissima nel settore pubblicitario televisivo: è assistente di Silvio Berlusconi presso il gruppo Fininvest, assume poi il ruolo di direttore commerciale e vice direttore generale presso Publitalia ’80, la concessionaria della pubblicità del gruppo Mediaset e poi amministratore delegato, dal 1991 al 1995, presso Arnoldo Mondadori Editore pubblicità. Dipendente modello, uomo di fiducia, ma persona che accuratamente viene tenuta lontano dai movimenti politici del padrone: tutta la leadership di Mediaset diventa quella di Forza Italia, ma il nostro dipendente mantiene un profilo basso, defilato: vuole restare solo professionista della pubblicità senza altri coinvolgimenti ne visibilità, un professionista al di sopra di ogni sospetto. Nel dicembre 1995 fonda “Cairo Pubblicità”, viene licenziato dal gruppo Fininvest (e non ne sono stati mai chiariti i motivi) e, mangiato il panettone natalizio e smaltiti i festeggiamenti di capodanno, inizia immediatamente nel mese di gennaio ad acquisire i diritti pubblicitari del gruppo Rizzoli Corriere della Sera  e la gestione in concessione di alcuni mensili del gruppo Editoriale Giorgio Mondadori. Stanco di gestire la pubblicità e testate altrui, inizia a fondare alcuni periodici (Dipiù e DipiuTv furono i primi) e la sua piccola azienda costruita da un dipendente restato disoccupato diventa grande grande, al punto che la Cairo Communication S.p.A. diventa, nel luglio del 2000, un’ azienda quotata in borsa. Miracolo italiano: un dipendente modello, braccio destro e uomo di fiducia del padrone viene licenziato senza motivo apparente e senza che il dipendente impugni o intenti causa a sua tutela. Non fa in tempo ad essere licenziato che ha già una sua propria azienda attiva, che inizia a fare immediatamente ciò che l’ ex padrone vorrebbe fare ma non può fare: il gruppo Mediaset era già stato citato in tribunale (perdendo la causa) dalla Olivetti SPA per irregolarità nell’ acquisto del Gruppo Mondadori ed era nell’ occhio del ciclone della commissione antitrust della Comunità Europea, essendo leader contemporaneamente nel settore televisivo, editoriale e pubblicitario, il tutto di proprietà di un premier politico al governo. Paradosso italiano: un dipendente modello e amato dal padrone viene licenziato: a quei tempi non c’ era il decreto Fornero, ma malgrado ciò Urbano Cairo non impugna e non fa causa, liberando silenziosamente e con discrezione la scrivania. Ha già un’ azienda propria attiva (chissà, sono pochi i licenziati in Italia che possono aprire immediatamente  una propria ditta) e inizia subito a lavorare proficuamente e con redditività , apparentemente in concorrenza col suo ex datore di lavoro. E il suo ex datore di lavoro, persona rancorosa che non ha mai risparmiato vendette trasversali e campagne diffamatorie nei confronti dei propri nemici, benedice e guarda faceto, senza nemmeno obbiettare o intentare causa per concorrenza sleale. E’ preoccupante la guerra, ma è ancora più preoccupante la troppa pace, l’ innaturale silenzio. Visto che è lo status symbol a rendere chic l’ imprenditore di successo, si compra anche lui la sua squadra di calcio, quella della sua città (il Torino) che con una gestione tutto sommato buona riesce a insediarsi stabilmente in serie A e a rimanerci. Tra concorrenti, soprattutto nel mondo del lavoro, normalmente corre sangue cattivo, guerra e diffamazione, ma tra lui e il suo ex padrone mai guerra ne scaramucce, e nemmeno mai evidenti manifestazioni di affetto e amore che possano dare il sospetto di connivenze. E oggi, dopo essere diventato un imprenditore ricco e di successo nel settore pubblicitario ed editoriale, dopo essersi comprato anche lui la sua squadra di calcio diventerà pure un importante imprenditore di successo nel settore televisivo. Evviva la democrazia, evviva la pluralità. Oppure no. Risposta al pensierino numero due: è singolare che un ex braccio destro, un ex amministratore delegato di azienda ovvero uno dei fiori all’ occhiello di un grande gruppo imprenditoriale a livello nazionale (e non solo) si metta a fare una volta licenziato esattamente quello che il suo ex padrone vorrebbe fare ma non può in virtù delle imposte limitazioni antitrust. Penserò male, ma purtroppo in Italia, soprattutto nell’ ultimo ventennio, nulla è mai stato ciò che sembrava e a pensare male spesso si pensano cose vere. Vorrei sbagliarmi, ma con il reintegro di Augusto Minzolini in Rai come direttore del TG1 con sentenza della Pretura di Roma e con il terzo network televisivo nazionale acquisito da una persona che in passato ha lavorato per lui, Silvio Berlusconi, come Carlo V, avrebbe finalmente un impero dell’ informazione (televisiva ed editoriale) su cui non tramonta mai il sole, per la sua immensità. E il tutto  in assoluto o quasi regime di monopolio.