IL POPOLO DEI SINDACATI C’È ANCORA. A REGGIO CALABRIA SFIDA L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

IL POPOLO DEI SINDACATI C’È ANCORA. A REGGIO CALABRIA SFIDA L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Quarantasette ! Non è il morto che parla. O forse riferito al sindacato degli ultimi anni sarebbe un numero perfetto di riferimento. Invece sono i quarantasette anni trascorsi dall’ultima grande manifestazione sindacale avvenuta a Reggio Calabria. Era il 22 ottobre 1972 e i lavoratori di tutta Italia si trovarono uniti in una sfilata sul Corso della Città. Era il momento di una unificazione nazionale dopo un incattivimento sociale degli anni di piombo, delle risposte bombarole fasciste. Dopo il ” boia chi molla” reggino a cavalcare la protesta nata spontanea per il capoluogo di regione. La necessità che a unire il Paese fosse il Lavoro, quell’ art. 1 della nostra Costituzione che soccorre nei momenti di pericolo della tenuta democratica dell’Italia. E torna il tema del Lavoro. Torna il Sindacato unito a Reggio Calabria. “Futuro al lavoro, Ripartire dal Sud per unire il Paese” è il titolo dato alla mobilitazione che stamani ha preso il via per le stesse strade che 47 anni fa videro in piazza il popolo reggino e i lavoratori italiani venuti nella punta dello stivale a testimoniare che la Dignità deve unire sempre, senza se e senza ma e, soprattutto, senza colore ideologico. 47 anni e l’Italia ancora incattivita, nella morsa delle disuguaglianze e dentro il tunnel di una disperante indifferenza verso il prossimo che pare annientare ogni anelito di riscatto. E proprio in questa terra, fanalino di coda europeo, si parla oggi di Futuro. Parola abusata dai verbi del “politichese” imperante. Quello dei ” faremo”, “vedremo” ” ci impegneremo”‘ Futuro, quello delle giovani generazioni che, pur senza l’ormai storica valigia di cartone dei terroni in trasferta, si accingono a partire per non essere umiliati profeti in terra loro. Futuro quello che anziani, malati, non visualizzano più nel loro guardare al domani in quanto ogni aspetto del welfare è divenuto miraggio. Ripartire dal Futuro è lo slogan di questa manifestazione, in aperta antitesi alle nefaste previsioni della cosiddetta “autonomia differenziata”. In realtà, per come congegnate, le Intese Stato/Regioni richiedenti la stessa( Veneto, Lombardia, Emilia Romagna) dissimulano una vera e propria Secessione. Una forbice in materia di erogazione servizi e diritti destinata ad ampliarsi ancora di più rendendo insostenibile il divario fra regioni ricche e regioni povere. Una ” secessione mascherata” è stata definita. Il cavallo di battaglia di quella Lega che ha tolto dal suo simbolo la parola ” Nord” e ha fatto sinora incetta di voti in un Sud depresso e disperato che ha voluto esprimere il suo dissenso nel modo più eclatante possibile: votando l’ annoso denigratore! La manifestazione odierna è partita da un luogo simbolo della città: piazza De Nava antistante il Museo della Magnq Grecia, la casa dei Bronzi di Riace. Il Popolo che si riprende i suoi spazi e lo fa con i simboli del Lavoro in una regione, in una città con uno dei più alti tassi di disoccupazione europea, soprattutto quella giovanile. Bandiere CGIL, CISL, UIL, sigle di movimenti e partiti politici, una delegazione del PD con Zingaretti. Tutte a sventolare sotto il cielo terso di una mattinata estiva reggina. Il corteo si snoda imponente per il Corso Garibaldi, l’ asse più importante del Centro storico cittadino. Un’onda sinuosa , colorata, allegra , festante come sa esserlo un popolo quando si sente affratellato da Nord a Sud. Procede lento e compatto, scandendo slogan inneggianti all’ Unità del paese e canti. La pelle diversa dei partecipanti. Alcuni bianchi, alcuni neri. Magliette colorate di rosso, di blu, di verde. È il popolo dei sindacati. Il nero era nel cuore dei partecipanti, in quel minuto di silenzio per le morti sul lavoro, tante, troppe. Un palco antistante il Duomo della città. Moltissime persone su quel palco e poi i tre segretari delle più importanti sigle sindacali italiane: Landini, Furlan, Barbagallo. La piazza molto capiente è gremita di gente. Trecento pullman giunti da tutta Italia, circa trentamila persone secondo gli organizzatori. Un colpo d’occhio spettacolare dalle traverse da cui non si riesce a intravedere il mare, come è sempre possibile, per la presenza di persone le cui bandiere sventolano al vento. Annamaria Furlan è la prima dei tre segretari a prendere la parola. ” La questione meridionale è antica. Ma il nostro tempo è oggi. È oggi è il Mezzogiorno che anziché essere al centro dell’agenda politica continua a essere dimenticato” e la folla presente si scalda, applaude, si sente partecipe di un mondo che per troppo tempo li ha tagliati fuori, complice le incapacità della politica locale in ogni sua espressione. La Furlan accusa il governo di inerzia e di volere adottare a tutti i costi quella flat tax che lei stessa definisce iniqua. “La sospensione del codice degli appalti, la deregolamentazione non costituiscono emblema di legalità, ma significano più lavoro nero, più subappalti, più infiltrazioni mafiose, più morti sul lavoro.” È il primo affondo che viene lanciato dalla piazza. Segue quello di Carmelo Barbagallo segretario della UIL . ” Non possiamo regalare i nostri giovani alle nazioni estere e farli diventare conseguentemente nostri competitor” Poi critica aspramente l’autonomia differenziata perseguita indefessamente, invece, dal governo giallo verde a trazione leghista. Per il leader della UIL le differenze Nord / Sud esistono, sono marcate e il gap di guadagni vede inesorabilmente il Sud soccombente. ” Con l’austerithy ci siamo impoveriti , il debito pubblico è uguale per tutti i cittadini italiani però al Sud si guadagna la metà del resto del paese”. Gli animi ormai sono galvanizzati. Le parole divengono balsamo e sprone. E la piazza è pronta a rispondere con calore e vibrante emozione quando a prendere il microfono è Maurizio Landini, segretario della CGIL. Landini dichiara: ” Ci piacerebbe dire è sbagliato questo provvedimento o quest’altro. In realtà sono sbagliati tutti i provvedimenti per il Mezzogiorno. È sparito il Mezzogiorno. Si chiudono i porti ma sono i nostri giovani ad andare via”. Lo sa bene il Sud. Lo sa bene la piazza che applaude e in quello scroscio di mani vi è la commozione di chi parte e di chi resta, pieno di rabbiosa frustrazione. “Non vanno chiusi i porti perché il nostro paese dovrebbe essere punto nevralgico del Mediterraneo, polo logistico dell’Europa, in un momento in cui la logistica è decisiva.” Incede sicuro nel suo discorso Landini e la gente della piazza fa sentire la sua voce quando egli dichiara : ” Non solo è aumentata la povertà, ma oggi si è poveri lavorando”. Conclude con veemenza il sindacalista :” Ricostruire l’unità , che non è l’unità di Furlan, Landini e Barbagallo. È qualcosa di più profondo. È l’unità delle persone, del Lavoro, è l’unità sociale. ” Conclude con una promessa :” Ci prendiamo un impegno preciso.Questo non è un arrivo è una ripartenza. Ci fermeremo soltanto quando avremo ottenuto i risultati per le persone. E state tranquilli, insieme siamo partiti, insieme cambieremo questo paese” Poi lasciano il palco fra la commozione generale di chi sa che la Libertà è Partecipazione.Un ‘ultima battuta a noi di Alganews che eravamo assiepati sotto il palco: “l’unità sociale è la loro paura ed è la nostra forza”