LA LIBERTÀ È PARTECIPAZIONE

Li ho visti fieri, giovani, anziani, sciamare l’altro ieri per le strade della mia città. Portavano bandiere coi simboli e i colori della CGIL, CISL, UIL, stringevano fra le mani striscioni inneggianti all’Unità d’Italia, Nord e Sud uniti nel lavoro.E c’era il Veneto, la Toscana, c’era la Basilicata, la Sicilia. Scendevo da una di quelle strade che uniscono monte e mare in uno spazio di poche centinaia di metri. Chi progettò, dopo il terremoto del 1908, l’asse viario del Centro dell’antica Reghion le definì “strade canocchiale”.Si incastrano perfettamente con la leggenda della Fata Morgana, quel fenomeno di rifrazione che, consente in determinate e rare situazioni meteo di vedere la Sicilia, con uomini, strade e vicoli, completamente specchiarsi nelle acque ferme e placide dello Stretto. Le strade canocchiale scendono dal monte verso le spiagge e consentono allo sguardo di vedere la costa sicula vicina, quasi a toccarla.Oggi ne discendevo una. Avevo un Cartellone sotto braccio.Anche io volevo essere della partita.L’ultima volta che i Sindacati uniti erano stati a Reggio Calabria era il 22 ottobre del 1972. Allora una motivazione forte li aveva portati nell’estremo sud. Gli anni di piombo. Poi la scelta del Capoluogo. La rivolta di Reggio del 70/71. Una rivolta spontanea poi cavalcata dal “boia chi molla”. Poi le bombe “nere” del terrorismo di destra. Un paese nella morsa. E la società civile che reagisce. E reagisce come fa la gente per bene: si unisce, riflette, protesta, rimane unita. In nome del Lavoro. “’Art. 1 della Costituzione’, Repubblica Una, Democratica, FONDATA SUL LAVORO. E resse. L’apparato democratico, unito in un idem sentire, resse”. Io non ho vissuto quegli anni. Quando nacqui nel 71 mio padre, macchinista, dovette fare a piedi il tratto di strada che andava dal deposito locomotive all’ospedale. Un paio di km.Reggio era sotto assedio. Scioperi, barricate, esercito in assetto di guerra.Nacqui dentro la protesta, per Reggio capoluogo, ma non ne respirai la storia, avevo un anno quando le strade del centro storico della mia città risuonarono di voci, cori, inni di un Sindacato unito.Io non ho provato l’ebrezza delle conquiste sulle barricate. Il sogno dei diritti certificati dalla Legge. Non ho sentito sulla pelle il sudore degli scioperi ad oltranza. L’adrenalina delle battaglie intraprese e vinte. Io non ho saggiato manganellate, cariche dei celerini. Non ho fatto cordoni per impedire licenziamenti, per scrivere la parola Giustizia sulle coscienze.Ed è il mio più grande rammarico: essere arrivata quando quel fervore, quell’anelito erano agonizzanti! “Quarantasette anni da quel 22 ottobre 1972”. Nel frattempo, morto il lavoro a Reggio Calabria, nella Calabria tutta, morta la sinistra, morto il sindacato. Pensavo mentre scendevo verso il Corso Garibaldi tutte queste cose insieme.DOV’ERA IL SINDACATO mentre il JOB’S ACT mieteva vittime? Mentre giovani venivano immolati sugli altari dei call center?DOV’ERA IL SINDACATO mentre la “legge Fornero” faceva lacrimare sangue a ignari esodati?DOV’ERA IL SINDACATO mentre si avallavano regolamenti redatti da Enasarco per rendere “Silenti” (cioè non restituibili) i contributi versati per un ammontare di anni inferiore al minimo prescritto?DOV’ERA IL SINDACATO mentre si voleva fare scempio della Costituzione con il Si al referendum?DOV’ERA IL SINDACATO quando i NOTAP o i NOTAV venivano derisi, colpiti, incarcerati?DOV’ERA nel 2001 IL SINDACATO quando il governo di centro-sinistra varò la riforma del “Titolo V” della Costituzione che diede la stura alla secessione mascherata odierna, ops…autonomia differenziata?DOV’ERA mentre il Sud languiva? Mentre la gente si uccideva perché la mancanza di Dignità assassina peggio della ndrangheta? “Probabilmente era a pranzo o a cena con i politici, con confindustria. Era a fare lo sciopero in orario d’ufficio”. Certo mi si opporrà giustamente: non bisogna fare di tutta l’erba un fascio.Giusto.Ma gli esempi meritevoli sono stati una goccia nel mare della indifferenza e della tracotanza. Poi un fiume umano mi ha travolta. Persone a cantare. Cappellini in testa di tanti colori. Bandiere. Palloncini. Uomini bianchi e neri. Dialetti del nord a gemellarsi con le parlate del Sud. Canti corali in cui uomini e donne celebravano la bellezza dello stare insieme. Di ritrovarsi e ritrovare l’energia per dire e dirsi: «NON SIAMO SOLI!»Col mio manifesto, mi sono unita a loro, nel loro canto mi sono ritrovata.Davanti a un palco, dopo tanto tempo, ho sentito parlare di Unità dell’Italia laddove qualcuno rivendica il regionalismo differenziato.Ho sentito battere mani non a comando.Non voglio parlare della Furlan che ha detto dal palco che la legalità si conquista col lavoro. Non voglio parlare di Barbagallo che ha detto che occorre tornare per le strade con la gente. Non voglio parlare di Landini che ha detto: «Non solo è aumentata la povertà, ma oggi si è poveri lavorando.» No.È GIUSTO che loro fossero lì e fossero su quel palco insieme.È GIUSTO che parlino di Unità dell’Italia e dei lavoratori.Ma io voglio parlare della gente.Di quell’orda di invasati scesi come “Unni” a conquistare la mia città.Una città nel sole e nel mare, con la fiducia di quei colori. “SE MUORE IL LAVORO, MUORE LA DIGNITÀ … e ho stretto anche io mani di sconosciuti”.