ARAL O MEGLIO ARALSK, COME DICO QUI. BEH, CI SIAMO
Due cammelli pascolano accanto alla mia moto. Il caldo è forte e polveroso. Il mare è presente fra le case, tante, di legno, come di un villaggio, con il ricordo di una sabbia più chiara e fina. Il fondo di uno specchio d’acqua su cui Aralsk non si affaccia più, lontano come è ormai di 6,5 chilometri. Ma all’ingresso della cittadina c’è per monumento un faro con ai piedi una vecchia ancora. E le navi? Dove sono i pescherecci arrugginiti piantati nella sabbia? Dicono che siano lì davanti, più o meno dove un ragazzino con la ciambella verde e gialla cammina coi sandaletti nella sabbia. E c’è da crederci a vedere una bottega che espone bracciolini e secchielli. Qui il mare anche se non lo si vede è una fede. Forse anche le barche navigano per convinzione. Ma io non ne ho ancora vista galleggiare una. Tantomeno mi è facile vederne nel deserto. Potrebbero essere una attrazione turistica ma la gente si rifiuta. Non è bello andare orgogliosi delle proprie ferite. Non è bello mostrarle. Ma io esploro. Ora vado e cerco
