COSA È STATO DIMENTICATO NELLE CELEBRAZIONI DI CAMILLERI?
“Tutte le celebrazioni di Camilleri dimenticano una cosa…” Però dovremmo capirci. E fare un ragionamento davvero semplice. Perché alle volte con un semplice ragionamento si comprendono le cose. Il buon Dio si nasconde nel particolare, diceva Aby Warburg. Ci addolora che Andrea Camilleri non sia più tra noi, chi lo ha conosciuto sa bene quanta malinconia avesse negli ultimi anni. La cecità, l’aver superato i 90 anni lo avevano provato, ma il suo spettacolo su Tiresia ha dimostrato quanta qualità avesse ancora, perché non era facile rimettersi in gioco in quel modo. Seconda cosa: ognuno può professare le sue idee, e ad alcuni le opinioni di Camilleri possono non essere piaciute. Ma va detto che in un mondo letterario fatto da traccheggiatori professionisti, gente che ha paura a dire una sola cosa, che mai per questo si possa perdere qualche lettore, uno come lui, che poteva fare il venerato maestro a vita, che poteva aspirare all’unanimità popolare si è messo in gioco, ci ha messo la faccia. Ha detto sempre quello che pensava, con passione e senza prudenza. E i più giovani dovrebbero imparare da lui. Ma c’è una cosa che è ancora più importante. L’annoso problema degli scrittori e dei premi letterari. Vulgata dice: i premi sono un rebus. Non li vincono gli scrittori più bravi, o meglio non accade che sia sempre così. Lo si dice con un misto di fatalismo e inevitabilità e anche di compiaciuto cinismo. Di che vi lamentate? Gadda non ha mai vinto lo Strega, e lo stesso dicasi di Pier Paolo Pasolini, per non dire di Calvino. Dunque? Dunque sono errori. E sono errori gravi. I premi non si assegnano a caso. Una società letteraria sa quello che deve fare. Quest’anno ad esempio il romanzo di Scurati meritava un riconoscimento per molti motivi, e Scurati è stato convinto, guidato, con sicurezza a vincere il premio. Nel rispetto certo dei giurati e della loro libertà di voto. Ma con un’indicazione letteraria che era chiara e inequivocabile. La società letteraria può sbagliare una volta, non può sbagliare per anni. Se sbaglia per anni c’è qualcosa che non va di sicuro. E non parlo solo dello Strega. Allora: Camilleri è stato uno dei più importanti scrittori italiani di questi ultimi trent’anni? O è stato solo l’autore di successo di romanzi seriali per la maggior parte dei casi incentrati sulla figura del commissario Montalbano? La risposta giusta è che sì, è stato uno dei più grandi scrittori di questi anni. E chiunque lo abbia letto ne è perfettamente consapevole. Anzi, direi che possiamo considerare Camilleri il Simenon italiano. E siccome io ritengo Simenon, sposando il giudizio che diede di lui André Gide, uno dei tre o quattro più grandi scrittori del Novecento, fate le debite proporzioni. Al punto tale che Camilleri in vita ha avuto l’onore dell’edizione delle sue opere complete pubblicata dai Meridiani Mondadori e curata da uno scrittore di grandissimo valore, oltre che da un editore acuto come Antonio Franchini. Poi possiamo discutere di tutto. Di cosa ci piace di più tra le opere di Camilleri e in quali casi possiamo avere qualche perplessità. Ma Andrea Camilleri ha fatto la storia della letteratura italiana di questi anni. E negarlo sarebbe ridicolo. E allora? Allora perché dal 1994 in poi l’unica presenza di Camilleri nei tre premi letterari che dovrebbero contare, per tradizione e storia, in questo paese, ovvero lo Strega, il Campiello e il Viareggio è totalmente assente. Eccetto una dozzina dello Strega, che neanche alla cinquina lo hanno fatto arrivare. Se i premi sono espressione della società letteraria, se i premi sono assegnati da organizzazioni, fondazioni, critici, docenti universitari, scrittori, giornalisti e intellettuali, ed è così, perché nessuno in questi trent’anni ha premiato un solo libro di Camilleri? Parlo di trent’anni, parlo di libri tradotti in tutto il mondo, e non parlo di uno scrittore facile, perché la lingua di Camilleri è complessa, come è complessa la sua visione del mondo. E lasciamo stare gli sceneggiati televisivi. Massimo rispetto per Luca Zingaretti, ma non doveva essere lui a parlare del valore letterario di Camilleri il giorno della morte. Sarebbe stato come far commemorare Simenon da Jean Gabin perché impersonava Maigret e in Italia da Gino Cervi (anche se Gabin e Gino Cervi sono morti prima di Simenon). Perché qui si innesca la vera contraddizione. Nessuno dei suoi libri meritava una cinquina, una terzina, un premio qualunque di quelli che contano? In circa 100 romanzi? E allora tutta la società letteraria italiana, il mondo dei giornalisti, dei critici, si faccia avanti e dica: era uno scrittore seriale, non aveva qualità letteraria sufficiente. Lo facciano. Abbiano il coraggio (poi però ci andiamo a rileggere tutti i vincitori e tutti quelli che sono entrati nelle cinquine e nelle terzine di questi trent’anni, nome per nome e libro per libro, e vediamo se davvero si è stati sempre così acuti, così rivelatori, così intelligenti criticamente…). Ma se non lo fanno, perché non è vero, perché lo sappiamo che è stato un grande scrittore, questo elemento, oggi, dimostra più di qualsiasi ragionamento complesso, che i premi letterari non hanno né peso né autorevolezza letteraria, e che hanno solo uno scopo commerciale. E questa è una società letteraria di pusillanimi.
