A DUE RAGAZZI SENZA MONDIALE

Ho visto la partita, ieri sera, seduto davanti alla tv con un ragazzo che non è italiano, ma ama l’Italia e la considera un grande paese. Anche il suo paese, la Bosnia, è fuori dal mondiale, ma era una cosa attesa. Mi ha ricordato che invece la Croazia ce l’ha fatta, e la Serbia va a Mosca senza neanche bisogno di spareggio. Alla fine era amareggiato quanto me, ma forse più sorpreso di me. E’ stato più difficile con mio figlio, quando, alla fine, mi ha telefonato da Londra: “non ci credo -ha detto – ci crederò solo quando vedrò i gironi senza l’Italia”. Diciamo che in ballo non c’è solo l’idea di fare un salto in Russia, o di organizzarci per quelle serate magiche e ormai tradizionali, pizza e partita, e commenti su squadre nuove e partite minori, e i mondiali ogni quattro anni, come un compleanno generazionale. C’è di più. Lo ha spiegato meglio di tutti un grande capitano e un grande uomo, Gigi Buffon, quando ha chiesto scusa ai bambini. E tutti, o quasi, davanti al gioco del calcio siamo un po’ bambini, facili ai sogni e alle delusioni, felici e rabbiosi.Siamo un paese di vecchi e dunque non sono il solo a ricordare quel 1958, quando ai mondiali non ci andammo. Avevo 9 anni, e un rapporto ambivalente: mi piaceva giocarlo, non vedere le partite. Perché mio padre, che non amava il calcio, mi aveva portato allo stadio – un chilometro da casa nostra, a Udine – a vedere il suo Napoli. Era finita che il Napoli aveva perso 7 a 0, e mentre eravamo tra la folla verso l’uscita, io avevo urtato una bicicletta che ci precedeva, sbucciandomi il ginocchio. Mio padre mi aveva tirato una sberla, nonostante fossi dolorante oltre che innocente, ed avevamo camminato in silenzio fin sotto casa. Lì, mio padre si era chinato e mi aveva chiesto scusa: era la prima volta, era del tutto inaspettato e non stava nell’ordine delle cose. “E’ che sono nervoso, scusa per la sberla. No, non è per il risultato, è solo un gioco, quello. E’ che domani in ufficio mi prenderanno in giro”.Io tifavo Milan, ma del calcio vedevamo solo le figurine, perché non avevamo la televisione. I goal, la domenica al bar, seduti con l’acquisto di un sacchetto di patatine, o neanche quello, in piedi. Lo scudetto l’aveva vinto la Juventus, con Charles – un gigante buono, che per i bambini è una bellissima definizione – e Sivori – uno degli angeli dalla faccia sporca, che per noi ragazzini cresciuti in strada e quante sberle per le ginocchia o le mani sporche è un’altra bellissima definizione. E insomma arriva il mondiale di Svezia, e sentiamo solo qualche partita alla radio. Per chi tifiamo, noi ragazzini ? Per il Brasile, perché ha Vavà, Didì e Pelè, adesso se uno cantasse che erano come tre chicchi di caffè gli direbbero razzista. Fa freddo in Svezia, ma i tre segnano più goal, messi insieme, di Fontaine della Francia, e in finale gliene danno 5 alla Svezia padrona di casa, e noi siamo felici, non sappiamo che è solo il primo mondiale dei brasiliani, ci basta chiamarci Didi Vavà e Pele nelle partite sgangherate con un pallone di cuoio con i legacci che fa male a dare di testa, e il nostro compagno di partite con gli strascichi di una poliomelite lo chiamiamo Garrincha, perché ondeggia e trascina un piede. E’ stato bello anche senza l’Italia, è normale che il mondo sia una cosa lontana e sconosciuta, che noi non ci si arriva.Del mondo sappiamo quasi nulla. Solo quello Sputnik e quella cagnetta Laika. Poco lontano da casa c’è ancora il canile, e ci sono gli accalappiacani, e i randagi. Laika non è più tornata, i razzi non hanno la retromarcia, e forse è vissuta solo poche ore, una randagia nello spazio. Non sappiamo nulla della società: c’è uno piccolo, Fanfani, che comanda tutto , anche le case – c’è una banda di ragazzini delle case Fanfani – ci sono democristiani e comunisti, è morto un papa e sta per arrivare un altro che è semplice come un parroco di paese. C’è la banda di via Osoppo – e ci colpisce solo perché Osoppo è un paese poco lontano da noi – e vestono tute da operai come quelli che vediamo in bicicletta tornare dal lavoro con la cartella sdrucita e dentro la gamella, appesa al cambrone delle biciclette. La storia che ci interessa di più è quella ballerina turca che ha ballato nuda al Rugantino, adesso che stanno chiudendo i casini, e le prostitute si chiamano passeggiatrici, perché vanno per strada, anche nel nostro piazzale. Oppure le chiamano mondane, che è una parola che ha a che vedere con il mondo. L’unico spiraglio del sesso è quella nuova auto, la 500, la cui portiera si apre al contrario e le passeggere mostrano inevitabilmente reggicalze e il resto. Non ci interessa Volare, per Sanremo tutti a vedere la tivù al cinema, ci piace Tequila, e qualcuno ha adattato le parole . “Tequila ballava nuda, col capo della tribù…. “. Ma Didi, Vavà e Pelè sono il nostro inno di battaglia. Pietro e Kemal, adesso anche se siete a Londra o a Sarajevo sapete cosa vuol dire essere ai bordi del mondo, in una provincia ai margini del mondo. Anche lì, in ultima fila, si può vivere ed essere felici, i sogni non si eliminano mai. Invecchiano, ma non importa.