CHE COSA ASPETTATE PER RIBELLARVI, DONNE?
La mia considerazione di oggi potrebbe sembrare un po’ ruffiana, “piaciona” come si dice a Roma o “acchiappalike” come dicono i giovani, al punto che avevo deciso di tenermela per me. Beh, ho cambiato idea. La mia generazione è forse l’ultima cresciuta in un mondo “politicamente scorretto” dove era considerato normale abbuffarsi di carne, fare a cazzotti, bestemmiare in pubblico, sfottere gli omosessuali, tormentare gli animali e schiaffeggiare i propri figli. In questo contesto un po’ barbaro noi settantenni di oggi abbiamo però sempre considerato come un fatto acquisito, giusto ed ineluttabile che le donne, a cominciare dalle nostri madri e sorelle, si sottraessero al loro ruolo subalterno al maschio. Per tutti gli anni sessanta e settanta la cavalcata femminista ci sembrò inarrestabile. Le mamme uscirono dalle cucine ed iniziarono a lavorare e le sorelle sostituirono le sottane scozzesi con le minigonne e i fotoromanzi con le poesie di Neruda, e con le tette spesso al vento conquistarono quella libertà culturale, sociale e sessuale di cui noi maschi avevamo sempre goduto. Oggi, mezzo secolo dopo, sembra di essere tornati all’anno zero. Un maleodorante vento di destra sta spazzando la penisola resuscitando parole come frocio, troia o negro che pensavamo sepolte per sempre. Si invocano stupri punitivi, si agitano bambole gonfiabili, si insultano le donne in quanto femmine, spesso le si picchia e qualche volta le si ammazza. Ma cazzo, ci ha dato di volta il cervello? Non stiamo parlando di una minoranza che non ha i mezzi e la consistenza numerica per ribellarsi, quella che sta finendo nel tritacarne del neofascismo è mezza Italia, probabilmente la sua parte migliore.Che cosa aspettate per ribellarvi, donne? Che le mutande stracciate in piazza siano proprio le vostre o quelle di vostra figlia?
