ENIGMA E CICALECCIO
Cerco di evitare di entrare nell’attualità delle cose. Perlomeno non subito, non mentre accadono. E questo per una sorta di buon senso che i social di solito non hanno. La compulsività dei social ha lo stesso valore del commento a mezza voce tra sé e sé mentre leggi il giornale e bevi il caffè. Ma alcune cose vorrei dirle, che spiegano anche la pagina di questo libro che riproduco nel mio post. 1. La narrazione ha invaso qualsiasi aspetto delle nostre vite. È ovunque, tranne nei libri, che vengono letti sempre meno, e nella letteratura, sempre più scambiata per qualcosa d’altro. Raccontare, narrare, avere una storia, una grande storia (ci sono molte pagine su questo nel mio romanzo “Niente di personale”) è condizione indispensabile per capire quello che abbiamo di fronte. Sono favole, nel senso tecnico del termine, solo che usano non il linguaggio delle favole, ma gli apparati retorici e letterari che molti imparano a conoscere soltanto in questa forma (e non attraverso Omero, che sarebbe meglio).2. Le narrazioni hanno a che fare con i contenitori, sempre. La letteratura è cambiata da quando i romanzi non hanno la lunghezza di “Guerra e pace” o della “Recherche” di Proust. È evidente che un romanzo breve o di lunghezza media ha tutta una serie di problemi strutturali in meno rispetto alla grande letteratura dell’Ottocento o ai lunghi romanzi del Novecento. Persino gli incipit sono diversi. Non parti per i cento metri come faresti con la maratona. L’aver dilatato in modo inverosimile e parlo di intere giornate per giorni e giorni, il dibattito politico significa dover saccheggiare il linguaggio letterario e metaforico. In modo goffo.3. Se devo parlare per ore di politica e se devo farlo per decine di pagine sui giornali devo esasperare quello che un tempo veniva chiamato: il retroscena. Ovvero un continuo racconto che non è vero di per sé, perché si afferma e si smentisce quasi nello stesso momento, ma che tiene vivo l’interesse del pubblico o del lettore.4. Il retroscena, tradotto in forma filosofica, è una ermeneutica. Ovvero una continua ossessione interpretativa. I semiologi sanno bene che il problema sono le ermeneutiche impazzite. L’ossessione del retroscena, dunque delle ermeneutiche, diventano sempre ossessione per il complotto, e sappiamo i danni provocati da questo vizio della mente, se così possiamo chiamarlo. C’è sempre qualcosa dietro, c’è sempre qualcosa da rivelare, c’è sempre un segreto. La verità non è mai quella vedete e anche se fosse, cambierà di continuo.5. Questa necessità di raccontare le minuzie, è un affare formidabile perché tra le minuzie ci sono inserzionisti pubblicitari, e per molti giornalisti e osservatori, è un modo di appagare il proprio narcisismo. Un tempo si aspettava che gli eventi andassero a conclusione. Si spiegava quello che era accaduto, e solo alla fine si cercava di capire il perché. Oggi il perché è tutto nel “mentre accade”.6. E qui si torna al fatto che la filosofia a qualcosa servirebbe. Ma a parte qualche strampalata citazione dotta non sento nessuno di questo circo che appare in tv e in parte sui giornali che dia la sensazione di aver letto o riletto un libro vero negli ultimi dieci anni. Il linguaggio metaforico è l’unica possibilità di riempire il nulla di qualcosa. È quasi obbligatorio, stabilito che i contenitori sono infiniti e vanno riempiti di continuo. Su questo tipo di metafore, strampalate, semplici, ardite, quasi sempre ammiccanti perché attingono alle passioni basiche e quotidiane: lo sport con il calcio, le passioni private, l’amore, la passione, l’odio, la forza, la debolezza. Il linguaggio metaforico è diventato un intendersi comune tra politici, giornalisti, commentatori, conduttori, ed è questo mondo che ci stanno mostrando. Non significa niente. E a niente può portare. La realtà delle cose corre indifferente a tutto questo.7. Intanto per farvi capire quanto sia impossibile tornare a un linguaggio pertinente, preciso, per quanto meno immaginifico, il paese, frana davanti a noi, e anche questa è una metafora, purtroppo.8. «Requisito del linguaggio è di essere chiaro e non pedestre. Quello composto dalle parole dominanti è chiarissimo, ma risulta pedestre; ne è un esempio la poesia di Cleofonte, e quella di Stenelo. Invece è elevato e superiore all’ordinario linguaggio, quello che impiega parole incondite; e con incondite intendo glossa e metafora e allungamento e tutto quello che è contrario al vocabolo dominante. Ma se nel comporre si mettono insieme tutte queste particolarità, ne verrà fuori un enigma o un cicaleccio: enigma, se ricco di metafore; cicaleccio, se di glosse. Il concetto di enigma è appunto questo, di mettere insieme assurdità dicendo le cose reali. E questo in una struttura fatta di termini normali, non è possibile; ma si realizza con la metafora». Aristotele, “Dell’Arte Poetica”, 22, 5. IV Secolo a.C.
