NIENTE ASSEGNO A VERONICA LARIO. COSA SIGNIFICA LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

NIENTE ASSEGNO A VERONICA LARIO. COSA SIGNIFICA LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

Premessa imprescindibile: le sentenze fanno stato solo fra le parti. Il processo italiano non e’ un processo di ” precedenti” sia pur autorevoli come gli assetti giurisdizionali di common law. Una sentenza di Cassazione, quando non sia delle Sezioni Unite, rimane sempre una pronuncia in un processo con due parti , legata a quel contesto probatorio e alla fattispecie dedotta in causa.Questa opportuna digressione riguarda la vicenda processuale civile concernente la separazione fra l’ ex premier Silvio Berlusconi e la moglie Veronica Lario, al secolo Miriam Bertolini, pubblicata il 30 agosto scorso. La vicenda della separazione, ha avuto, quindi, il suo epilogo. Dopo un processo di primo grado che aveva visto Berlusconi condannato dal Tribunale di Milano a erogare un assegno mensile di oltre un milione di euro all’ ex coniuge , la Corte di Appello dello stesso circondario, forte di una sentenza a sezioni unite emessa nel 2018 dalla Cassazione che definiva delle linee guida, aveva ribaltato la decisione di primo grado. Veniva revocato, in sede di giudizio di appello, l’ obbligo in capo all’ex marito di corresponsione dell’ assegno di mantenimento. Veronica Lario impugnava la sentenza presentando un ricorso in Cassazione. Quattro giorni fa la conferma del provvedimento della Corte di Appello e , nella parte motiva della sentenza, la formulazione di principi che fanno comprendere l’ inversione di tendenza ad opera della giurispridenza in tema di diritto di famiglia e, nello specifico, in ambito dei rapporti economici fra coniugi. Cosa afferma di tanto particolare la citata sentenza? La sentenza, riprendendo quanto già stigmatizzato dalla Corte di Appello, effettua un cambio di orientamento rispetto a quanto sino a ieri generalmente applicato. Per una costante e uniforme giurisprudenza, in questo caso si’ delle Sezioni Unite del 1990, il parametro di riferimento era sempre stato costantemente individuato nel ” tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio”. In base al nuovo orientamento giurisprudenziale, per la verità emerso già a far data dal 2017, i riferimenti debbono attualizzarsi, modernizzarsi e tenere conto di parametri diversi. Detti parametri, sin dal 2017, quindi, vengono identificati nel ” raggiungimento dell’ indipendenza economica del richiedente l’ assegno” sempre che sia accertato che quest’ ultimo non è ” economicamente indipendente”. Se lo è o è effettivamente in grado di esserlo non gli deve essere riconosciuto il relativo diritto. Questo è quanto sostenevano alcuni Tribunali in primo grado, poi la Corte di Appello di Milano e oggi quanto è stato confermato dalla Corte di Cassazione. Sulla problematica, stante la delicatezza dell’argomento e le sfere di vita coinvolte, nella disparità e diversità dei giudicati, erano intervenute le sezioni Unite nel 2018. Con una sentenza divenuta adesso pietra miliare, spartiacque fra una vecchia concezione e una nuova, stabilivano che il giudice deve effettuare un vaglio processuale delle situazioni che va fatto caso per caso . Secondo le Sezioni Unite non vi può essere un principio valevole a priori per il coniuge economicamente più debole( sia esso marito o moglie). Certo innova la Corte con la sentenza del 2018 quando statuisce testualmente: _ Principio di autoresponsabilita’…vale per l’ istituto del divorzio in quanto il divorzio segue normalmente la separazione personale ed è frutto di scelte definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò stesso l’ accettazione da parte di ciascuno degli ex coniugi, irrilevante sul piano giuridico se consapevole o no, delle relative conseguenze anche economiche…_ Quando la giurisprudenza considera il concetto di ” adeguatezza dei mezzi” richiesti dalla normativa in materia, lo deve, quindi, alla luce del nuovo input dato dalle Sezioni Unite,( che a differenza delle sezioni semplici, costituiscono un autorevole parere giudiziale), attualizzare e rapportare ai casi concreti. Si chiede, infatti, all’interprete di considerare tutta la storia di una vita insieme, le decisioni, le scelte, il contributo anche morale e in termini di risparmio realizzato, elementi tutti che concorrono alla crescita di una famiglia. La normativa in materia dell’assegno previsto dall’art. 5 della legge 898/1970 ( legge sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio) ha fatto la storia del nostro paese e continua ad essere lo specchio fedele dei tempi. Essa è passata dal codice civile alla innovativa legge sul divorzio per giungere, con una parabola discendente, al Disegno di legge Pillon che ha fatto tanto discutere, ora ,e fortunatamente, viste le note vicende politiche, in standby. Anche la giurisprudenza ha risentito nel tempo dei mutamenti di costume della società. L’assegno di divorzio per l’ex coniuge diviene punto di forza, oggetto del contendere, casus belli, dando conferma a un detto antico e ancora pertinente: ogni testa un tribunale. Si è passati dalla funzione assistenziale e compensativa dell’assegno, basata sulla incidenza del rapporto coniugale ormai infranto, a una funzione quasi risarcitoria dello stesso assegno quando si doveva tenere conto nella decisione dei motivi e degli addebiti. Con la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 1990 assistemmo a una prima svolta interpretativa che affermava la natura prettamente assistenziale dell’assegno di mantenimento, facendo scaturire la sua concessione dalla valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, tali da garantirgli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Questo per molto tempo fu l’orientamento applicato nei tribunali italiani. Poi nel 2017 una svolta. Una sentenza a fare discutere e ribaltare un orientamento consolidato. Contava il criterio dell’indipendenza o autosufficienza economica, non il tenore di vita goduto nel corso delle nozze per valutare l’assegno al coniuge che lo richiede. Il matrimonio cessa così di essere “sistemazione definitiva”: sposarsi, scriveva la Corte, è un “atto di libertà e autoresponsabilità”. Nel giudizio sfociato nella pronuncia di legittimità era in discussione l’assegno di mantenimento che l’ex ministro dell’economia Grilli doveva corrispondere all’ex moglie, l’imprenditrice Lowenstein. In poche parole, secondo la statuizione della Cassazione, laddove il richiedente fosse autosufficiente non poteva trovare ingresso la richiesta di contributo in capo all’altro coniuge. Tramontava, quindi, il mito del ” tenore di vita” e l’ultrattivita’ degli effetti del matrimonio. Lo stesso Berlusconi ringraziava di cuore per la prima volta i giudici di Milano. La sentenza denominata Lamorgese, dal nome del relatore, rischiava tuttavia di generare forti squilibri se applicata senza accorgimenti e adattamenti alla realtà. Investite della questione ancora una volta le Sezioni Unite della Cassazione, non essendoci univocita’ di pronunce fra le varie sezioni, si pronunciavano nel 2018, contemperando le opposte visioni. Così si bandiva il concetto di ” tenore di vita avuto in costanza di matrimonio” , ma il criterio di autosufficienza ed indipendenza dovevano essere contestualizzati. Secondo le Sezioni Unite ” il profilo assistenziale doveva essere contestualizzato con riferimento alla situazione effettiva nella quale si inserisce la fase di vita post matrimoniale, in chiave perequativa_ compensativa” ( sent. S.U. n. 18287/2018) Più semplicemente non vi è un’applicazione automatica o un diniego automatico. Il giudice deve effettuare una indagine per verificare se la condizione di squilibrio patrimoniale sia da ricondurre quale causa/effetto alle scelte dei coniugi e al ruolo di ognuno nell’ambito della vita familiare. E l’assegno perde,così, la sua connotazione assistenziale per assumere nel momento della sua determinazione una valenza di riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole. L’assegno divorzile oggi, anche con questa ultima sentenza non è più un atto dovuto, esso poggia su un principio di solidarietà che non scatta automaticamente alla cessazione del matrimonio. Affinchè venga riconosciuto il diritto alla fruizione ed il conseguente obbligo alla corresponsione da parte dell’ex coniuge è necessario che il richiedente dimostri di avere cercato qualsiasi tipo di lavoro o che non sia in grado di potere lavorare per sostenersi. Non è sufficiente, quindi, il principio del divario economico o l’antica condizione che il coniuge economicamente più debole non goda più del tenore di vita che si aveva in costanza di matrimonio. L’Associazione avvocati matrimonialisti italiani in persona del suo Presidente, avvocato Gassani ha applaudito alla sentenza delle Sezioni Unite e aveva dichiarato “ se c’è inerzia da parte di chi richiede l’assegno, il giudice non può riconoscerlo: diventerebbe una rendita parassitaria”. Dal momento della inversione di tendenza giurisprudenziale una miriade di ricorsi per modifica dei patti della separazione o dei divorzi sono stati presentati nelle varie cancellerie italiane. Fino a giungere alla sentenza odierna della Cassazione nel processo Berlusconi / Lario. L’ex signora Berlusconinel suo ricorso in Cassazione aveva sottolineato di aver “rinunciato in giovane età alla carriera di attrice per dedicarsi interamente alla casa, alla famiglia e all’allevamento dei tre figli”. La Cassazione ha effettivamente stigmatizzato la differenza patrimoniale fra i due ex coniugi ma ha evidenziato che l’”oggettivo squilibrio non discende dall’impostazione della vita coniugale e familiare… l’origine dell’attuale condizione economico patrimoniale della Lario, induce a ritenere interamente attuato, grazie agli interventi in corso di matrimonio dell’ex coniuge, il riconoscimento della funzione endofamiliare dalla stessa svolta, consentendole di affrontare la fase successiva allo scioglimento del vincolo in condizioni di assoluta agiatezza”. La signora Lario, secondo la Cassazione avrebbe potuto contare comunque su un elevato tenore di vita anche dopo la fine del matrimonio.Nell’ordinanza è dato leggere che già durante il matrimonio, Berlusconi avrebbe assolto ai propri obblighi di assistenza economica “costituendo in favore della ex moglie un patrimonio mobiliare e immobiliare di notevolissimo valore” fatto di beni immobili, partecipazioni societarie, gioielli. In ultima istanza la difesa della signora aveva giocato la carta della dedizione totale alla famiglia, della abnegazione verso il nucleo al punto da sacrificare le proprie aspettative lavorative e professionali. Secondo la Cassazione deve escludersi che ciò possa influire o avere influito sulla condizione economico patrimoniale della donna. L’oggettivo squilibrio tra l’ingente patrimonio di Berlusconi e quello della Lario, comunque non indifferente, non deriverebbe per i giudici di legittimità dall’impostazione della vita coniugale e familiare. Berlusconi, infatti, è dato leggere, aveva già prima del matrimonio un patrimonio personale enorme nella realizzazione del quale non.vi sarebbe stata influenza dalla conduzione della vita familiare. La signora Lario, perdendo il ricorso e divenendo definitivo il giudizio che riguarda la vicenda, è stata condannata a restituire all’ex consorte circa 50 milioni di euro. A volte affermare il principio sacrosanto del nostro diritto e cioè che le sentenze riguardano solo le parti del processo e non hanno valenza generalizzata come una legge, non basta. Ed ecco che all’indomani della decisione della Cassazione una sfilza di ipotesi, teorie, riesumazioni emergono come i funghi dopo la pioggia. Secondo alcuni tecnici del diritto l’ evoluzione giurisprudenziale, che se non opportunamente vagliata caso per caso può portare a decisioni aberranti, fa riemergere l’esigenza di alcuni accorgimenti. Fra quelli più accreditati tornano ciclicamente a riproporsi i cosiddetti ” patti prematrimoniali” Solo con la sottoscrizione di un valido patto prematrimoniale ( vero e proprio accordo con clausole e condizioni), secondo autorevoli opinioni di esperti, si può conservare lo status economico raggiunto in costanza di matrimonio senza rischi per le future casalinghe e senza sovraffollamento delle aule dei tribunali. La donna, soprattutto,la casalinga quindi, chi si dedica a tempo pieno alla famiglia deve preoccuparsi di accantonare cospicui fondi per vivere e per sostenere spese giudiziali per estenuanti processi in cui riuscire a dimostrare quanto sarebbe stata in grado di fare se avesse scelto la carriera professionale e lavorativa fuori dalle mura domestiche. Nel nostro diritto il matrimonio è identificato come un negozio giuridico in cui si incontrano due volontà che debbono essere formalmente e sostanzialmente libere. Ecco perché ad oggi la sottoscrizione dei patti prematrimoniali confligge con le caratteristiche dell’istituto medesimo ed ecco perché un disegno di legge in tal senso langue dal 2014 in parlamento. Secondo il nostro diritto la volontà non può essere sottoposta a condizione. In qualche intervista di questi giorni si leggono consigli legali alle donne( ritenute , a ragione, il sesso economicamente più svantaggiato nella impostazione della old family italiana) Viene consigliato, infatti, alle casalighe o alle professioniste che si accingono a fare il grande passo di optare, nell’attesa dell’avvento dei patti prematrimoniali , per il regime patrimoniale della ” comunione dei beni”. La comunione dei beni, secondo questa parte della critica sopperirebbe alla mancanza di generosità del coniuge più abbiente! Viene spontaneo, però,chiedersi, dopo avere letto queste considerazioni, e le conquiste fatte negli anni dalle donne per affermare la loro indipendenza? La separazione dei beni era una di quelle conquiste atte ad affermare indipendenza e libertà nella dignità! Anche questa, quindi, una sentenza che farà discutere e chiamerà i giudici quali interpreti delle norme, cui la Cassazione ha attribuito una enorme responsabilità dovendo essi vagliare caso per caso e nel merito le situazioni prospettate, ad analisi puntuali e precise consapevoli che il loro giudizio con l’accoglimento o la negazione del diritto al mantenimento del coniuge economicamente più debole, avrà ripercussioni non sui portafogli ma su vite umane. Chiamerà, forse, le nuove generazioni, ad affiancare all’amore, al rispetto, alla stima, unici pilastri del matrimonio, il consulente legale e fiscale, con buona pace di ogni sogno.