MIA MAMMA E TERESA BELLANOVA

Ho guardato e riguardato il viso di Teresa Bellanova, il suo muoversi, il suo sorriso e il suo portare con tanta naturalezza quell’abito blu. L’ho guardata pensando alla mia Teresa; la mia mamma di ottantuno, sua omonima. Mamma non ha neppure la terza media. Mamma è nata il 10 marzo 1938. Il 10 giugno 1940 Benito Mussolini decise di trascinare l’Italia nella Seconda Guerra Mondiale. Aveva due anni dunque, la mia mamma quando la guerra entrò nella vita di milioni d’italiani molti dei quali solo bambini. Alla mia mamma toccò anche nascere nel sud del Paese. Quel sud chiamato meridione che già era povero. Aveva circa sette anni mamma Teresa quando la guerra finì. Sette anni. Ci racconta spesso che frequentava l’asilo comunale affidato alle Suore di San Giuseppe. Poi la scuola con il grembiule che sembrava un sacco a coprire scriccioli di bimbi per la maggior parte figli di contadini. Un grembiule con un grosso fioco che lei ridendo, ma con la mente che torna indietro nel tempo e gli occhi sempre velati di malinconici e sofferti ricordi, definisce “più grande di me”. Mamma ha frequentato fino alla terza elementare – “il tempo sufficiente per imparare i numeri, il più, il meno, le moltiplicazioni, le divisioni e l’alfabeto”. Ho imparato a mettere insieme le lettere per leggere e scrivere. Non ero fatta per studiare, l’unica cosa che sapevo a memoria era la storia della vispa Teresa. Non volevo studiare cosi mio padre ci portò nei campi. A raccogliere spighe di grano, fave, ceci e fagioli. Poi crescendo a tagliare carciofi con la cesta più alta di me, appesa sulle spalle a piedi nudi sul terreno bagnato e a tratti paludoso.”. Ho zoomato sul viso di Teresa Bellanova quasi pensando di zoomare quello di mamma Teresa e un po’ anche quello della vispa Teresa. Ho visto in quel viso gli occhi di chi nella vita con sacrificio è arrivato al traguardo, raggiungendo a malapena la terza media ma orgogliosa e sana di valori. Poi ho pensato alla mia mamma, a quando noi sorelle e fratello eravamo piccoli e nel pomeriggio mentre noi giocavamo in cucina vicino al caminetto, lei in piedi con i gomiti poggiati sul tavolo leggeva il quotidiano, l’Unione Sarda. A voce altra scandendo le parole con fatica da terza elementare. Io ogni tanto ascoltavo e guardavo di nascosto. Non volevo disturbarla. Noi a scuola ci andavamo e la nostra lettura era più fluida. Lei dice sempre che è tornata a scuola in prima elementare con noi e perché doveva in qualche modo aiutare noi piano, piano, giorno dopo giorno, la sua lettura ha perso fatica ed è diventata più fluida. Lei, insieme alla vicina Mariuccia, sua migliore amica (erano come sorelle) a turno comprava il giornale. Mariuccia era stata meno fortunata. Lei non sapeva leggere ne scrivere. Era mamma che leggeva per lei: “Tocca Teresina, ita doi esti scrittu oi in su giornali?” – “dai, Teresina, cosa c’è scritto oggi nel giornale?” Mamma ha sempre scritto. Prendeva appunti su vecchie agende dentro le quali infilava ogni nota spesa; “su billettu de sa spesa” (il biglietto per la spesa). Pochi giorni fa mi ha chiamata di buon mattino – “passa, ti do il biglietto per comprarmi un po’ di spesa”. Ho sorriso mentre la ascoltavo al telefono. Non ha mai perso quest’abitudine che per lei è stato ed è un esercizio costante per scrivere oltre che un modo per tener la contabilità famigliare. Infatti, lei sapeva e sa sempre cosa ha comprato, in che giorno l’ha comprato, quanto ha speso e di quanto ancora poteva disporre. Mio padre che lavorava, l’ operaio allo zuccherificio, ogni 27 del mese portava a casa la busta paga che consegnava a mamma. Era lei che gestiva tutto perché nel sud la gestione della famiglia. Mamma nei suoi biglietti per la spesa oggi scrive con la mano tremante e incerta dei sui anni. Le scappa una doppia in più e una in meno – ma quelle scappano pure a me – una r al posto della s, una p al posto della b; “mamma, che hai scritto?” Lei non si scompone e risponde: “Ehi, giai du cumprendu deu su chi esti scrittu!” (Eh, già lo capisco io cosa c’è scritto.)Ecco, mamma che si può dire a scuola non c’è stata, ha imparato da sola, ogni giorno della sua vita si è informata con il giornale e con il telegiornale riuscendo a costruirsi la sua idea del Paese, della politica e di tutto quello che accade oggi. E per questo che dice sempre – “mai tornino i tempi di chi ha portato in Paese in guerra solo per la mania del potere”. Mi sto chiedendo ancora adesso, mentre scrivo, se chi ha insultato Teresa Bellanova ha una mamma; se l’ha mi domando con quale cuore di figlio è riuscito a insultare e deriderne un’altra. Grazie ai biglietti della spesa di mamma, in casa non è mai mancato nulla, la contabilità è stata ed è sempre sotto controllo. Soprattutto ha insegnato anche a noi figli che leggere qualche pagina ogni giorno ti fa uscire dall’ignoranza. La stessa che permane in chi giudica non guardandosi allo specchio costringendo una donna, mamma, lavoratrice, a giustificarsi l’abito che ha indossato.