DOVE NASCE QUELLA CATTIVERIA CHE VIVE NELLA SOFFERENZA DEGLI ALTRI?
Erano andati a farsi una visita dal pediatra accompagnati dalla mamma in una traversa di Corso Mazzini a Cosenza. Una città dove ho riposto i miei ricordi più belli, quelli che ti fanno vivere di attimi che assomigliano alla felicità. Erano in tre in quella stanza del dottore, ma l’attesa doveva essere ricompensata con un gelato. Sono usciti con i soldi in mano, felici di correre coll’innocenza negli occhi.Nella loro strada hanno incrociato un bambino con il loro stesso sorriso, e uno dei tre si è avvicinato per fargli una carezza. Non si era reso conto che aveva il colore della pelle diversa dalla sua. Ma il padre del bambino con la pelle più chiara sì. Il bambino con i soldi in mano non ha capito nulla: si è trovato per terra con l’addome sferzato da un calcio e con le sue giovani labbra che baciavano un selciato. Un dolore a lui sconosciuto.Ora puntiamo il dito su questo padre che insieme alla moglie è stato giustamente denunciato, ma incominciamo a guardarci attorno. Mi chiedo dove nasce questa maledetta cattiveria, quella cattiveria che vive nella sofferenza degli altri.Non parlo di quel dolore che arreca la parola mielosa piena di indifferenza, no, non quella. Io parlo della sofferenza che nasce da una battuta, da una parola, da un ammiccamento, da un pregiudizio. Dall’ignoranza. E dall’ignoranza ad un giudizio perentorio, il passo è breve. Persone che vivono nell’inabilità di amare. Persone che hanno una vita come la tua, la frequentano e tante volte ne fanno parte. Si sa, essere diversi e non solo fisicamente, è sempre stato difficile perché essere sé stessi è un concetto che ti precede e ti aspetta.Di solito queste persone sono grette, portatori insani di meschinità e bassezza, ma molte volte sono persone che indossano la cravatta la mattina, o il tailleur abbinato alle scarpe tacco 12, dispensando sorrisi e pacche sulle spalle mentre fanno selfie sui loro cellulari scintillanti. Folletti deformi che vestono un cappello troppo piccolo per mascherare la loro triste vita. Tutti mimetizzati e protetti da un’umanità desertificata, boccheggiante.Quando leggi di un bambino che è stato malmenato da un avventore di questa lucida follia, senti un dolore che parte dalla pancia e sale fino alla tua bocca. Riempiendola di tagli e di sentenze inappellabili. Senti una rabbia dove il dolore non esiste più. E allora li riconosci. Sono quelli che tifano per la soluzione più facile, sono quelli che ti lanciano sassi per farti cadere, sono quelli che con la loro mano accusatoria ti fanno inginocchiare. Quei bambini se dimenticheranno il dolore di questa società, lo faranno con quello stupore che solo i loro occhi può avere. Ma noi, orfani in un mondo che ci vede sempre più soli e abbandonati dall’amore e dalla carità, dobbiamo abbattere tutti questi muri che hanno costruito per dividerci. Lo dobbiamo a quegli occhi di bambino, a quelle mani nascoste dal timore, e a quei sorrisi che non conoscono paura.
