CASO REGENI E LIBIA: BASTA CHIACCHIERE
Agli italiani piace girare con vaghe formulette intorno ai problemi. Per questo governo e per il nuovo ministro degli EsterI i punti nodali si chiamano Egitto, per il caso di Giulio Regeni, e Libia. L’Italia da sola non ce la fa a ottenere giustizia. Qui serve una forte pressione degli Usa visto che in Italia hanno 64 basi ,16 mila militari e 90 testate atomiche Agli italiani piace girare con vaghe formulette intorno ai problemi senza risolverli. Per questo governo e per il nuovo ministro degli Esteri il nodo si chiama Sponda Sud, un fronte caldo, denso di problemi ma anche di opportunità, visto che qui ci sono alcuni dei nostri maggiori partner economici ed energetici. I punti nodali si chiamano Egitto, per il caso di Giulio Regeni, Libia e immigrazione. Ma sono importanti anche i rapporti con la Tunisia, dove si vota per le presidenziali, e con l’Algeria, il nostro maggiore fornitore di gas dopo la Russia, che sta attraversando una complicata fase di transizione dopo l’uscita di scena di Bouteflika.Il nuovo ministro degli Esteri Di Maio ha già davanti una grossa opportunità per farsi conoscere: tra poco dovrà andare all’assemblea annuale della Nazioni Unite, un’occasione per incontrare il mondo. Quindi faccia il piacere di prepararsi ascoltando i consiglieri giusti e dando un colpo di reni a una Farnesina depressa ed emarginata con la gestione dell’ectoplasma Moavero.Il caso Regeni è il più scottante. Passati più di tre anni dalla barbarica uccisione del giovane ricercatore Giulio Regeni da parte della polizia egiziana, l’Egitto del generale Al Sisi non è stato in grado di trovare i colpevoli e tanto meno di imbastire un processo. Neppure dopo l’incontro tra Al Sisi e Conte al G-7 di Biarritz si intravedono progressi. Ci sono forti pressioni perché il nuovo governo ritiri di nuovo dal Cairo l’ambasciatore, una mossa che forse lascerebbe le cose come prima. Diciamolo subito. Da sola l’Italia non risolve la questione essenziale per restaurare rapporti civili e duraturi con un partner strategico.E neppure può far cadere la questione perché, dopo l’umiliazione della Libia, il caso Regeni costituisce un altro colpo al prestigio e soprattutto alla credibilità del Paese.L’Egitto è fondamentale per la stabilizzazione della Libia, qui l’Eni deve sfruttare il mega-giacimento offshore del gas di Zhor e avviare una pipeline, l’East-Med, che può cambiare il volto del Mediterraneo.L’Italia da sola non ce la fa a ottenere giustizia dal generale egiziano. Qui serve una forte pressione degli Stati Uniti che devono intervenire ad aiutarci: Washington è il maggiore fornitore di armamenti del Cairo e ogni anno versa miliardi di dollari per la difesa e la stabilizzazione del Paese, insieme naturalmente ai sauditi e agli Emirati diventati attori essenziali e a volte molto fastidiosi nella stessa Libia.Trump l’anno scorso aveva promesso a Conte una cabina di regia sulla Libia e il nostro premier si era bevuto una promessa che il presidente americano non voleva né poteva mantenere. L’Italia in Libia è stata potenza coloniale, per altro sconfitta, quindi nessuno dei suoi alleati, dagli Usa alla Francia, alla Gran Bretagna, è disposto a lasciarle un ruolo politicamente preminente: anzi, come ha dimostrato l’abbattimento del regime di Gheddafi nel 2011, sulle decisioni importanti non ci consultano nemmeno.Ma gli Usa hanno 64 basi militari in Italia, 16mila soldati e mantengono 90 testate nucleari: gli Stati Uniti sono il nostro “protettore” dalla fine della seconda guerra mondiale. Conte e Di Maio hanno fatto dichiarazioni di fedeltà sperticate all’asse con gli Stati Uniti e la Nato: è il momento di dimostrare che questa alleanza ha un qualche valore anche in politica estera.Si deve passare dalla fase della destabilizzazione del Mediterraneo e del Medio Oriente a una nuovo capitolo per riportare un ordine accettabile. Quindi il governo e la nostra diplomazia devono al più presto farsi sentire, con abilità e discrezione, per mettere in primo piano le nostre legittime esigenze. La prima questione riguarda appunto le relazioni con l’Egitto, la seconda la Libia, da dove vengono le ondate migratorie che hanno sconvolto il quadro politico italiano.La stabilizzazione della Libia deve essere la priorità della politica mediterranea perché la caduta del Colonnello Gheddafi è stata pagata con un prezzo altissimo, dai libici ovviamente, ma anche da noi, dai tunisini e dagli egiziani che hanno perso centinaia di migliaia di posti di lavoro e sono sotto minaccia continua, come del resto anche l’Algeria, dei jihadisti e del terrorismo di Al Qaida e dell’Isis .Gli italiani sono stanchi di chiacchiere, lo hanno dimostrato appoggiando correnti politiche sovraniste e populiste: in un certo senso anche noi siamo diventati un problema e forse proprio per questo europei e americani adesso ci daranno un po’ più retta. Approfittiamo del momento.
