G8: CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA.

G8: CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA.

La Corte di Giustizia dei Diritti Umani di Strasburgo, con sentenza definitiva emessa dalla Gran Camera, l’ ultimo grado di giudizio equiparabile alla nostra Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della famiglia di Carlo Giuliani, il ragazzo rimasto ucciso il 20 luglio 2001 durante gli scontri tra manifestanti e forza pubblica durante il G8 tenutosi a Genova. Riconosciuta la legittima difesa al carabiniere di leva Mario Placanica, colui che aveva esploso il colpo di pistola mortale e assoluzione per lo Stato italiano. Nella sentenza di primo grado, oggetto di ricorso da entrambe le parti, era stata riconosciuta sì la legittima difesa a Mario Placanica ma una parziale colpevolezza da parte dello stato italiano. Parziale colpevolezza riconosciuta per l’ insufficiente organizzazione del dispositivo di sicurezza e tutela dell’ ordine pubblico in quanto, per una errata decisione delle regole di ingaggio, le forze di Pubblica Sicurezza sono state munite di proiettili ordinari letali (le cartucce a ogiva metallica) anziché fare come fanno tutti i reparti antisommossa di tutto il mondo (anche i nostri Carabinieri in Iraq e nelle missioni all’ estero) che prevedono durante le manifestazioni l’ utilizzo di proiettili e munizionamento non letale con ogive dei proietti in gomma, ugualmente dolorose ma che non recano ferite lacerocontuse potenzialmente letali. Quando successe il fatto chi non  proclamava il martirio di Carlo Giuliani (al quale è stata dedicata anche una sala con apposita targhetta in Parlamento) veniva bollato per essere un fascista e un reazionario. Premetto che anch’ io, in gioventù e non solo ho avuto esperienze di manifestazioni in piazza: da giovane sostenendo bandiere rosse e striscioni della FGCI mentre quando sono divenuto più grande (dal 1994 sfilando nella manifestazione nazionale contro la prima legge finanziaria del governo Berlusconi fino alle ultime contro l’ abolizione dell’ articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori) con le bandiere della CGIL; abbigliamento normale, non in giacca e cravatta perché abbigliamento comodo per manifestare srotolando striscioni ma neanche indossando passamontagna o caschi da moto che potessero nascondere la mia identità (ci tenevo che la mia brutta faccia fosse ricordata e riconosciuta tra i manifestanti) o potessero tornare utili e di protezione nel caso di lancio di sampietrini o scontri con la polizia. Perché manifestare le proprie idee è diritto imprescindibile in un paese democratico, farlo provocando e aggredendo i funzionari di pubblica sicurezza in servizio, bruciando auto o cassonetti dell’ immondizia, lanciando molotov o pietre contro vetrine e altre proprietà private è reato e legittima l ‘uso della forza da parte dei servizi preposti alla sicurezza (anche se non ne giustifica gli eccessi). Anche alle manifestazioni cui ho partecipato c’ erano le persone che, per provocazione o per inciviltà, cercavano lo scontro fisico con le forze dell’ ordine, ma ho sempre fatto di tutto per ricondurre alla ragione tali facinorosi, non avendo voglia di prendere manganellate grazie a cattivi comportamenti altrui. Qualsiasi lutto è un fatto grave e doloroso, lo ribadisco, e non esistono mai morti giuste e morti sbagliate. Torniamo a Genova il 20 luglio di dodici anni fa: in mezzo ad una Piazza Alimonda in cui imperversavano gli scontri in una manifestazione che aveva perso i connotati politici per sembrare una cornice del Purgatorio dantesco, un mezzo dei carabinieri, un Land Rover Defender che per difficoltà di manovra in mezzo ai manifestanti era rimasto isolato dal resto dell’ autocolonna che stava abbandonando la piazza, viene improvvisamente circondato da una folla inferocita e minacciosa che lo inizia a scuotere e ad aggredirlo con bastoni, pietre, spranghe, una panchina divelta e un estintore. Un atteggiamento che recava grave pericolo all’ equipaggio del mezzo che, se fosse stato estratto, avrebbe facilmente rischiato il linciaggio. Rischio molto reale, l’ estintore (la prima volta lanciato da un manifestante ignoto) vola frantumando il vetro posteriore del fuoristrada ma fortunatamente uno dei carabinieri che occupava il mezzo riesce a respingerlo all’ esterno con un calcio, evitando che entrasse nell’ abitacolo ferendo gli occupanti. In mezzo ad una folla inferocita che urlava frasi minacciose come “Bastardi, vi ammazziamo” (accertato e deposto in tribunale da Massimiliano Monai, rinviato a processo per essere stato riconosciuto come uno di quelli che aveva tentato di fracassare il Land Rover Defender con un una lunga e pesante spranga, condannato in primo grado e prescritto in appello) si avvicina al mezzo, con fare minaccioso, un giovane con il volto coperto da un passamontagna che raccoglie e solleva da terra l’ estintore respinto dal carabiniere col gesto tipico di chi, come il suo collega manifestante prima, volesse di nuovo usarlo contro il fuoristrada e i suoi occupanti. Alla guida un giovane di 23 anni, il carabiniere effettivo Filippo Cavataio, spaventato e confuso, tanto che nel tentare la manovra spegne più volte il motore ingranando la marcia sbagliata e finisce bloccato col muso contro un cassonetto dell’ immondizia. Nella panca posteriore due carabinieri di leva ventenni, gli agenti Mario Placanica e Dario Raffone, spaventati anche per la giovane età e la poca esperienza in tali tipi di servizio. Uno di questi, l’ agente Placanica esplode due colpi di pistola: uno colpirà il muro della chiesa in Piazza Alimonda, l’ altro invece Carlo Giuliani che si accascia ancora vivo al suolo dietro il fuoristrada. L’ autista del fuoristrada riesce ad inserire la retromarcia e, disincastrandosi dal cassonetto dell’ immondizia travolge il cadavere di Carlo Giuliani riverso a terra. Il mezzo di soccorso arriva dopo oltre una mezz’ ora, quando Carlo Giuliani ormai è morto e su questo, per esperienza, non mi sento di obbiettare nulla: avendo guidato ambulanze per 12 anni come volontario di una Pubblica Assistenza, è già drammatico guidare un Fiat Ducato in mezzo a modesti rave party di provincia, figurarsi in mezzo ad una piazza piena di una folla inferocita che fa volare sassi e sprangate. Verranno denunciati per omissione di soccorso: probabilmente in mezzo alle sassate e gli scossoni che il fuori strada stava subendo non si erano accordi dell’ avere investito il corpo di Carlo Giuliani e comunque, mentre è chiara l’ omissione di soccorso quando si investe un pedone in una strada normale nella normale circolazione delle autovetture, lo è di meno in mezzo ad una folla che già aveva intenzioni pericolose e minacciose prima e ancora di più era diventata violenta dopo il ferimento di Giuliani. E comunque, se uscissi di casa e iniziassi a fracassare autovetture con un estintore nulla mi salverebbe da un’ incriminazione per danneggiamento di proprietà private. Se tali autovetture fossero occupate da passeggeri, subirei una denuncia per tentate lesioni nel caso ne restassero tutti incolumi o di procurate lesioni se qualcuno si facesse male. Potrei sostenere che ero di cattivo umore, che in famiglia mi avevano fatto arrabbiare, che stavo vivendo male il mio stato di disoccupato, e forse potrei sostenere la non premeditazione. Ma se dovessi farlo indossando un passamontagna, col chiaro intento di nascondere la mia identità e non essere riconosciuto, ribadirmi una vittima degli eventi e degli equivoci diventerebbe difficile. E farlo in mezzo ad una manifestazione non è una valida giustificazione per reclamare l’ impunità. Motivo per cui i veri martiri sono Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi, persone che hanno perso la vita in situazioni normali e senza loro colpa alcuna: anch’ io delle volte torno a casa brillo dopo serate allegre con amici (sempre a piedi per non rischiare patente ed incidenti con l’ auto) e tiro un sospiro di sollievo sapendo di non avere mai incrociato gli agenti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani o Luca Pollastri, quelli condannati per la morte per percosse subite di Federico Aldrovandi. Giustizia è fatta: Carlo Giuliani non è un martire, perché martiri sono le vittime innocenti, non chi stava danneggiando un automezzo dei Carabinieri che lo Stato italiano ha comprato con i soldi dei contribuenti, minacciando gravemente l’ incolumità degli occupanti a bordo del mezzo. Il caso Giuliani è stato un caso montato e governato ad arte (anche da parte degli organi di pubblica sicurezza) al fine di distogliere dall’ attenzione dal vero fatto grave, antidemocratico e violento occorso al G8 di Genova: l’ irruzione immotivata e gratuitamente violenta  alla Scuola Diaz e gli interrogatori degli arrestati (con modalità degne dello stadio di Santiago del Cile al tempo del golpe Pinochet) presso il commissariato del Bolzaneto. Un fatto vergognoso che, a tutt’ oggi, non ha avuto spiegazioni ne colpevoli, tra prescrizioni, proscioglimenti e dubbi processuali visto che nel nostro ordinamento giuridico, dicono, non è previsto il reato di tortura. Unica cosa che ci rimane è uno splendido film di Daniele Vicari, “Diaz – non pulite questo sangue”: film di una durezza estrema che ho avuto la fortuna di vedere in DVD. Fortuna perché a metà del film ho dovuto metterlo in pausa e andare a fumare una sigaretta per rimettermi dalla nausea e dal vomito che mi stava venendo, data la durezza cruenta del film. E comunque un film sicuramente veritiero, visto che non ha ricevuto alcuna querela per diffamazione dalla sua uscita ad oggi.