FINE VITA, PER LA CONSULTA E’ LECITO IN CASI COME QUELLO DI DJ FABO

FINE VITA, PER LA CONSULTA E’ LECITO IN CASI COME QUELLO DI DJ FABO

Non uno, non due bensìtre i video-appello che dj Fabo invia prima direttamente al presidente Mattarella, poi alla politica tutta, per sollecitare quell’iter parlamentare sul fine-vita che giace da anni negli scaffali del Parlamento. Appelli strazianti, farfugliati a fatica da parole rese comprensibili solo grazie al testo scritto che appare in contemporanea. Coi qualichiede che gli venga data la possibilità di poter decidere di porre fine alla sua sofferenza, andarsene con dignità poiché da tre anni è ‘immerso in una notte senza fine’. Poi il j’accuse contro l’immobilismo della politica, pavida e arruffona, incapace di legiferare in merito: ‘È veramente una vergogna che nessuno dei parlamentari abbia il coraggio di mettere la faccia per una legge che è dedicata alle persone che soffrono, e non possono morire a casa propria, e che devono andare negli altri Paesi per godere di una legge che potrebbe esserci anche in Italia”. Avrebbe voluto morire nel suo letto, Fabiano. Circondato dall’affetto dei suoi cari. Avrebbe voluto morire liberamente nel suo Paese, nel rispetto delle leggi, se la politica ‘avesse avuto il coraggio di metterci la faccia’. Ha potuto farlo in Svizzera, grazie alle leggi vigenti sull’autodeterminazione, e al sostegno di Marco Cappato, leader dei Radicali e presidente dell’Associazione Luca Coscioni, il 27 febbraio 2017. Dopo tre anni da quel terribile incidente che lo aveva reso cieco e tetraplegico e preda di sofferenze inenarrabili. Una non vita, così la chiamava Fabiano. I suoi appelli, inascoltati. Tema da sempre scottante questo del suicidio assistito che smuove coscienze perennemente in conflitto tra etica e diritti. Tema che ora la politica non può più rinviare. Non dopo la sentenza di ieri con la quale la Consulta, ha dichiarato illegittimo l’articolo 580 del Codice penale che punisce l’istigazione o l’aiuto al suicidio con pene tra i 5 e i 12 anni di carcere. La Corte Costituzionale ha ritenuto «non punibile chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio,autonomamente e liberamente formatosi di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli’. Una vittoria per Marco Cappato, imputato principale nel processo che lo vedeva coinvolto nel suicidio assistito di DJ Fabo. Una vittoria per quanti non dovranno più pietire il diritto di morire con dignità. Una sentenza che in qualche modo mette ora il Parlamento con le spalle al muro. Affinché legiferi di conseguenza.