AMOUR. MA DE CHE. IL CINEMA RECENSITO DAI CRITICI
Critiche entusiastiche. La palma d’oro a Cannes quest’anno. L’ennesima. Bene. Si va a vedere il nuovo film di Michael Haneke Amour. La storia, visto che in molti la conoscono già, la sintetizzo in poche righe. Due insegnanti di pianoforte vivono gli ultimi tramonti della loro vita con la serenità di chi aspetta la fine. Lei, la bravissima Emmanuelle Riva, ha un ictus. Lui, il superbo Jean Louis Trintignant, la accudisce fino a quando non la vede spegnersi poco a poco. E quando capisce che della moglie tanto amata formalmente non è rimasta nemmeno una briciola, la soffoca con un cuscino e si lascia morire a sua volta. Le note positive si fermano alla grandezza dei due attori. Per il resto, storia noiosa, fatta di dettagli inutili, dalla trama lenta e incompiuta. Che non emoziona neanche un istante nel trattare il tema della terza età, che da Umberto D in poi è tema forte, bello nella bruttezza della vecchiaia.. Haneke, stile da sempre gelido, ai confini del cinico, avrebbe potuto tracciare una linea, raccontando Amour. Non lo fa nemmeno quando ha il match point tra le mani: l’eutanasia. La riduce in un brandello di cronaca, senza andare a fondo. Irritante in molti punti, appesantito dalla telecamera fissa nell’ appartamento borghese e decadente della coppia, Amour è la dimostrazione di come spesso la critica sposi in massa le cause di grandi registi anche quando non ne vale la pena. Delle tre una: i critici non capiscono nulla di cinema e sono completamente staccati dai gusti del pubblico. C’è qualcosa sotto, ed è meglio non indagare, avendo frequentato per una vita i meccanismi cinematografici ed essendo stato a lungo critico cinematografico a mia volta, oppure funziona ancora alla perfezione il gioco della piramide: dal più grande al più piccolo. Il meccanismo? Il famoso critico dice: è un capolavoro. Perchè ne è davvero convinto o perchè ci sono insondabili motivi. E a cascata i più piccoli gli vanno dietro per paura di non essere organici al coro, per evitare brutte figure. Alla fine si raggiunge una sorta di unanimità di giudizio che lascia perplessi quando: vai a vedere un film come Amour, strombazzato e pluripremiato, e rimani freddo. Freddo come l’amore tra questi due anziani coniugi e la loro figlia dalle lacrime di coccodrillo ( è Isabelle Huppert, sempre fascinosa). Un amore formale, che camuffa un odio profondo. Tra di loro mai una lite vera, mai un vero gesto di passione. Forse anche in questo il nord Europa è diverso da noi. Peggio per loro. In Italia o in Spagna, le coppie che stanno insieme da una vita si detestano o si amano ancora come fosse il primo giorno. E lo fanno vivendo. Bene o male ma vivendo. Lì, in quella claustrofobica casa parigina regna invece solo la noia e l’indifferenza. Amour. Ma de che.
